Carnevale a Roma

Vi diro' adesso di me. La mia salute e' un po' migliorata. Mi ha aiutato il tempo buono che e' durato tutto l'inverno. Immaginatevi che l'inverno qui e' migliore e piu' caldo della primavera. Qui nessuno riscalda le camere. Le giornate sono state cosi' piene di sole e luminose. Non una nuvoletta e la volta del cielo tutta azzurra, azzurra come da noi non e' mai. Ma voi non sapete ancora cosa e' Roma e vi sbagliate molto se credete che sia in qualche modo simile a San Pietroburgo. E' una citta' di genere completamente diverso. Pietroburgo e' la piu' nuova di tutte le citta', e Roma la piu' vecchia. A Pietroburgo tutto e' in ordine, pulito, i muri imbiancati; e qui, tutto al contrario, le mura delle case sono completamente scure, simili a quelle del Palazzo d'Inverno o del Palazzo di Marmo, e a volte accanto ad una casa nuova ce n'e' una che ha mille anni. Qualche volta, nel muro di una casa e' incorporata una colonna, che fu fatta al tempo dell'imperatore romano Augusto, tutta annerita dal tempo; talvolta un'intera piazza e' tutta ricoperta di rovine, e tutte queste rovine sono coperte di edera, e vi crescono fiori selvaggi e tutto cio' ha un aspetto bellissimo, quale potete solo immaginarlo. Per tutta la citta' zampillano fontane e sono tanto belle. Una di esse rappresenta Nettuno che viaggia in un cocchio, e i suoi cavalli gettano in aria spruzzi; in un altro luogo, un Tritone, sollevata in alto una conchiglia, lancia in alto un getto d'acqua.

Forse voi non sapete che in nessun altra citta' al mondo ci sono tante chiese come a Roma, e all'interno esse sono cosi' adorne come non si verifica in nessun palazzo reale. Le colonne di marmo, di porfido, di rara pietra azzurra, che e' chiamato lapis, di avorio, e tante tante statue, tutto e' magnifico. E quel che ancora di piu' le adorna, sono i quadri. Voi, penso, avete sentito i nomi dei famosi pittori Raffaello, Michelangelo, Correggio, Tiziano ecc., i cui quadri costano adesso milioni ed e' perfino impossibile comprarli. Pensate che tutti questi quadri sono qui. E non solo nelle chiese vi sono quadri; nei palazzi di qui, che sono moltissimi e appartengono alle migliori famiglie romane, vi sono intere gallerie di quadri, piene di opere dei migliori maestri, cosicche', anche se ti fermi a Roma per alcuni anni, ti resta sempre qualcosa da vedere.

Il Vaticano (dove vivono i papi) e' un grande palazzo con un numero infinito di stanze e gallerie, e tutte queste gallerie sono piene di statue, di quelle statue che furono fatte, ai tempi degli antichi greci e romani, dai famosi scultori, i cui nomi voi, io credo abbiate letto nella storia. In una parola, tutto cio che leggete nei libri, lo vedete qui davanti a voi.

Non so se vi ho scritto qualcosa sul carnevale. E' una manifestazione notevole. Immaginatevi, che nel corso di tutta la settimana tutti escono a piedi o in vettura, mascherati con ogni specie di costume e maschera. Uno si veste da avvocato con un naso lungo come tutta la strada, un altro da turco, un terzo da rana, da pagliaccio o come capita. Perfino i cocchieri a cassetta si vestono da donne con le cuffie. Ognuno si sforza di vestirsi come puo' e chi non ha proprio nessun costume, si imbratta la faccia, e i ragazzini indossano alla rovescia le giubbe e i mantelli stracciati. Ognuno ha con se' un cartoccio di palline fatte di farina, che si gettano l'un l'altro impasticciandosi. Tutti ridono e sghignazzano. Talvolta invece della farina buttano confetti. L'ultima sera, che si chiama Moccolotti, bruciano carnevale, cioe' espongono fuochi a tutte le finestre. Tutti coloro che vanno in carrozza (e nelle carrozze ci sono fino a 12 persone), tutti tengono delle candele in cima a delle lunghe aste e altri corrono appresso a loro anche con delle aste, ma alle quali sono attaccati dei fazzoletti con cui spegnere le candele. Se riescono nel loro intento ridono di cuore. Durante tutta questa baldoria si sente un urlo solo: "senza moccolo, senza moccolo!" Altri aggiungono: "Oh che oscurita'!" Intanto dai balconi le dame tendono anch'esse delle lunghe aste col moccolo in cima e accendono quelli che sono stati spenti. Cio' si prolunga fino alle 11 della notte, e in questo modo finisce il carnevale, ma per sapere, occorre vedere.

Forse un giorno vi sara' dato di venire in Italia, in questa terra cosi diversa da tutte le altre. Sebbene gli stranieri trascorrano in Italia l'inverno, a me in Italia piace di piu' l'estate. E' vero che ci fa molto caldo, ma in compenso, in Italia, di questa stagione la natura e' nel suo pieno splendore, e talvolta capita che per due-tre mesi di seguito il cielo e' sereno tutto il giorno; vi svegliate e vedete davanti a voi la volta celeste pura, pura senza nemmeno uno straccetto di nuvole, cosicche' dimenticate che le nuvole esistano.

Come sono meravigliosamente le citta' e i paesi intorno a Roma in questo periodo! E se vedeste come qui si vestono le contadine abitanti dei grandi villaggi! Una meraviglia, una meraviglia! Alcune di esse sono perfette bellezze! Ma vi raccontero' ancora nella prossima lettera. Forse trovero' il modo di mandarvi dall'Italia qualcosa di italiano.


Gogol Nikolaj Vasil'evic, Lettera alle sorelle, 28 aprile 1838. Polnoe sobranie socinenij, Pis'ma. Leningrado, Izdatel'no Akademii Nauk SSSR, 1952. In: Ettore Lo Gatto. Russi in Italia. Roma, Editori Riuniti, 1971, p.127-128.

Il pranzo a Roma

A Roma c'e' l'uso di finire a mezzogiorno tutti gli affari, di qualsiasi genere siano, per andare a pranzare. Si puo' dire con certezza che alle dodici sono interrotte tutte le occupazioni e tutta la popolazione di Roma si nutre, dando erroneamente al processo del suo nutrimento il solenne nome di pranzo, perche' con la parola pranzo e' collegato il concetto di eleganza e di una certa varieta' di pietanze, di una certa consolante solennita' nell'adempimento di questo processo, il che, come dono insieme della fortuna e della natura, cioe' come dono di mezzi e come dono di saper pranzare, non e' accessibile a tutti!...

A mezzogiorno gli uffici sono chiusi: la distribuzione della posta e' sospesa; i monaci scalzi scompaiono dalle piazze della citta' universale e cantano il canto che precede il pranzo, gettando di tanto in tanto teneri sguardi alle lunghe tavole allineate nel refettorio. I brillanti bellimbusti, che le signore nordiche prendono per conti e duchi, per i discendenti dei guelfi e ghibellini, si affrettano ai sotterranei dell'oste Tabbioni e soddisfano il bisogno di nutrimento con qualche baiocco. Le belle, che lavorano nei negozi delle francesi, escono di corsa da vari angoli, si affrettano sul liscio selciato del Corso, scambiando rapidi sguardi fiammeggianti e balenanti sorrisi con i paini, i dandy romani che incontrano, in azzurri mantelli alla Almaviva, e coi pittori in giacchette quattrocentesche di velluto nero e cappelli bianchi a falde larghe, e poi scompaiono in qualche vicolo buio e stretto, dove debbono mettersi da parte, per cedere il passo a uno scarno somarello dalle orecchie lunghe, che porta sulla schiena due enormi ceste di aranci e limoni, saltano leggere sopra vari rifiuti o utensili buttati li spensieratamente dagli artigiani che lavorano all'aria aperta, e sui trucioli e mucchi di legna e i cumuli di spazzatura, di foglie di cavolo, di lattuga e ritagli di broccoli aghiformi e di carote di un forte color minio e dall'anima gialla, che sporge da un mucchietto di paglia umida o calpestata dall'asino.

Perfino l'essere che, a quanto pare, e' il piu' libero al mondo - il pittore - anche se nato sotto un altro cielo e educato in altre usanze e anche per indole propria non incline alla regolarita' del modo di vivere, perche' in lui un felice movimento significa tutto - e quando questo movimento capiti, prima o dopo il pranzo, non si sa, anche il pittore, vivendo a Roma, deve sottomettersi all'uso onnipossente. L'ignoto suo ideale e scopo, a cui tende la sua arte, la natura, personificata per lui nella figura del modello o della modella, verso mezzogiorno comincia a soffrire dell'appello al nutrimento.

Le parole persuasive e l'aumento di paga non hanno nessuna efficacia: Giove che per due ore ha tenuto col braccio alzato il fulmine osservando con disprezzo l'artista che lo copiava (domandando di continuo: "Va bene cosi', sono abbastanza solenne?" e raccontando di quando in quando aneddoti e pettegolezzi raccolti a volo), verso le dodici dimentica il fulmine e scende dal tavolo che rappresenta l'Olimpo. Il corpo di Ettore appena ucciso, che giace nella piu' scomposta posa, per un morto pero assai naturale, verso le dodici si anima e apre le braccia con le parole: "Signore, e ora di mangiare". Il ragazzino mendicante, un modello raccolto sulla piazza, bruciato dal sole, nero, selvaggio, spettinato, con gli occhi scintillanti, verso le dodici abbandona la sua posa in ginocchio davanti a Lauretta dalle sopracciglia nere e vi dice:"dammi due paoli, ho fame". L'asceta del deserto arabico, verso le dodici sente fame, e i demoni che gli si presentano sotto forma di lunghi, lunghi maccheroni, trionfano decisamente su di lui. E diventano irrequiete le magnifiche membra di qualche Venere o Galatea fino ad ora immobili come di pietra, e che l'artista dipingeva o modellava, trattenendo a stento il respiro nel petto allargato, col cuore che batteva forte e la vista tesa con sforzo, pronta ad offuscarsi ad ogni istante, secondo me piu in se stesso che nella propria opera, rappresenta il trionfo dell'arte sulla natura…Ma, ecco la fine dell'ispirazione! La fine della fatica! Galatea va a pranzare, Giove va a pranzare, l'asceta va a pranzare, il corpo di Ettore va a pranzare e dietro ad essi anche l'artista copre con uno straccio bagnato la figura modellata e da' i pennelli al garzone, che compare chissa' da dove, avendo gia' fatto il giro di una diecina di studi per raccogliere dappertutto i pennelli, e va anche lui a pranzare…

Maikov Apollon Nikolaevic, Schizzi di Roma. In: Polnoe sobranie socinenij, Quattro volumi, a cura di P.V.Bykov. Pietroburgo, Marks, 1914.. Traduzione in italiano di Nicola Festa. Lanciano, Carabba, 1919.

Roma

A Firenze non ci eravamo fermati, l'abbiamo lasciata per il ritorno. Il 30 novembre siamo arrivati a Roma…

Genova, Livorno, Pisa sono rimasti nella mia memoria come punti luminosi il cui ricordo ogni volta mi fa un gran bene. Un simile sentimento gioioso, come in queste citta, io non l'ho provato spesso…

Non posso pero' dire che Roma, fin dalla prima volta, mi abbia fatto un'impressione particolarmente piacevole. A Roma bisogna vivere, bisogna studiarla per scoprire i lati buoni. Nel suo aspetto esteriore c'e' qualcosa di senile, di sopravvissuto, di deserto e caduco; le sue vie cupe, i suoi palazzi enormi e le sue case non belle sono tristi, in essa tutto e' annerito, tutto e' come dopo che c'e' stato un morto, tutto odora di chiuso, cosi' come a Berlino e Pietroburgo tutto e' luccicante, tutto e' nuovo, tutto odora di calce, di umido, di non ancora abitato. Ma piu' di tutto sorprende, nella vecchiaia di Roma, la mancanza di solennita', di ampiezza, concetti che siamo abituati ad unire alla parola "Roma" e che effettivamente sono rimasti in alcuni monumenti e si sono conservati nel carattere popolare. La nuova Roma e' meschina e sporca, priva di commercio e di ogni comodita'. In Italia non c'e' confort in nessun posto, ma non c'e' volgarita', le citta' italiane sono sporche, ma mirabilmente belle nella loro trascuratezza; sono scomode, ma solenni, non ci si sente stretti, nulla vi e' di vulgar; gli stracci italiani sono drappeggi: Roma fa eccezione.

Vi prego, non accusatemi di mancanza di rispetto, e lasciatemi spiegare di quale Roma io parlo. Io parlo della Roma attuale. E non delle due Rome del passato, e ancor meno di quella che nasce; io parlo della Roma presente, come e' uscita dalle mani dell'ultimo rappresentante della morte e del torpore, in un anno e mezzo e' impossibile rinascere.

La citta' eterna ha cambiato alcune volte la sua corazza - le tracce delle diverse vesti sono rimaste e in base ad esse si puo' giudicare quale fu la sua vita. Roma e' il piu' solenne cimitero del mondo; qui, come in un teatro anatomico, si puo' studiare la morte in tutte le sue fasi; qui si puo' imparare a capire la vita che fu, in base alle ossa, alla colonna vertebrale. E la prima cosa che colpisce chi non s'e' lasciato sviare da una teoria preconcetta, sono le tracce della vita limitata, selvaggia, repellente, esclusiva, arruffata, che hanno preso il posto della larga, elegante vita dell'antica Roma; in essa non c'e' la piu' piccola comprensione dell'arte, il piu' piccolo sentimento del bello - le colonne e i portici che si trovano murati nei nuovi muri sono eterni testimoni della mancanza di gusto del triste mondo che ha preso il posto del Passato e del Colosseo. L'antica Roma e' caduta come un possente gladiatore, la sua colossale carcassa incute rispetto e timore, essa, anche adesso, superbamente e solennemente lotta contro la distruzione, il tempo non ha potuto spezzare le sue ossa; i suoi avanzi, sprofondati nella terra, rovinati e coperti di muschio e d'erbe sono piu' solenni e nobili di tutti i templi del Bramante e di Bernini. Come dovette essere grande quello spirito che si impresse su quelle colonne di pietra! - uno spirito a tal punto capace di correggere la morte che la sua impronta semicancellata basta a schiacciare due, tre Rome costruite li accanto e i secoli che le hanno costruite. Quando per la prima volta uscii dietro il Campidoglio, e non conoscendo Roma, ad un tratto inaspettatamente mi trovai davanti il Foro, mi si fermo' il respiro e mi arrestai turbato e commosso - eccola la carcassa del grande attore, io riconobbi i suoi tratti che nel gigantesco scheletro conservavano l'espressione regale. Il Forum Romanum e' la grande reliquia laica di un mondo puramente laico.


Aleksandr Ivanovic Herzen, Lettere dal Corso. Passato e pensieri. In Opere in otto volumi. Mosca, 1975 In: Ettore Lo Gatto: Russi in Italia. Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 188-189.


La campagna romana


Quanto piu' si vive a Roma, tanto piu' scompare il suo lato meschino, volgare, e tanto piu' tutta la vostra attenzione si concentra su altri interessi e altri oggetti - l'elevatezza e la bellezza dell'infinito, i sudici androni, la mancanza di tutte le comodita', le vie strette, le case assurde, le bottiglie vuote diventano sempre piu' insignificanti - e da essi si fanno strada a poco a poco altri aspetti della vita romana, come piramidi o montagne che escano fuori dalla nebbia, dopo averli visti, gli occhi non se ne distaccano, si dimenticano la strada sassosa, l'erba dell'acquitrino, l'afa, il freddo e la polvere. Tale in primo piano la campagna di Roma; da principio sorprende col suo aspetto deserto, la mancanza di campi lavorati, l'assenza di boschi, tutto e' povero, cupo, come se non si fosse nel centro d'Italia,- si', simili deserti si trovano sulla riva dell'Istro e della Sprea… ma a poco a poco si comincia a far conoscenza di questo deserto eterno, di questa selvaggia cornice di Roma, del suo mutismo, della sua lontananza opalina, e le montagne azzurre, sull'orizzonte, dispongono l'anima a una tristezza solenne, - la' in qualche punto si muove lentamente un asino con i sonagli; un pastorello dai capelli neri, un giubbone di pelle di montone, siede triste nel suo aspetto bruciato dal sole e guarda lontano - e una donna che porta degli ortaggi, con un costume sgargiante e un fazzoletto piegato sulla testa, e conserva le forme eleganti delle antiche statue, s'e' fermata per riposare e guarda anch'essa lontano- e i suoi bellissimi occhi esprimono una melanconia incomprensibile per lei stessa - e sembra che uno stesso pensiero, pesante, cupo, si sia posato sul campo sconfinato e sui monti e sull'acquedotto che si perde lontano, e sui tronconi di colonne e sul pastorello e sulla contadina. Sempre triste, sempre cupa, la campagna ha un momento solenne - il tramonto del sole, nel quale gareggia col mare. Quale godimento stare in qualche posto, sui colli, a Frascati, a Monte Mario, e seguire per ore il sole che tramonta e la notte che subentra… chi non e' stato in Italia, non sa che cos asia il colore, la luce, e probabilmente gli sembrano troppo tesi e troppo luminosi i paesaggi meridionali. La malinconica campagna e' legata indissolubilmente con le rovine dell'antica Roma, si completano l'un l'altra. In verita', quale inverosimile grandezza in queste pietre! Non senza ragione ad adorare queste rovine viene ogni nuova generazione da ogni punto del mondo colto! Chi, leggendo la storia, non ha capito Roma, venga qui alle Terme di Caracalla, al Colosseo…

Aleksandr Ivanovic Herzen, Lettere dal Corso. Passato e pensieri. In Opere in otto volumi. Mosca, 1975 In: Ettore Lo Gatto: Russi in Italia. Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 190.

Differenza tra Roma e Napoli

Io credo che, se dappertutto ci fosse una tale aria, un tale clima e una tale natura, sarebbero assai meno i santi e assai piu' numerosi i peccatori felici e spensierati. Dal punto di vista religioso, non si puo' ammettere che gli uomini vivano su questa terra lussuriosa, e chi ci dice che le tenaci preghiere dei primi cristiani non abbiano contribuito all'eruzione del Vesuvio per cui andarono in rovina Pompei ed Ercolano? In realta' qui, nella tiepida molle aria vulcanica, il respiro, la vita sono volutta', godimento, qualcosa che indebolisce, qualcosa di passionale. Il piu' forte degli uomini diventa qui un Sansone a cui siano stati tagliati i capelli, pronto a qualsiasi allettamento e incapace di qualsiasi azione. Guai se per di piu' qualcuno dimostri che appunto l'allettamento e' la vita, e le azioni sono sciocchezze e che non occorre agire…Il passaggio dalla natura di Roma a quella napoletana e' cosi' sorprendente, cosi' aspro, che desidero dire qualcosa sul nostro piccolo viaggio di trasferimento. La triste campagna romana coi suoi acquedotti e le sue montagne azzurrine che si perdono all'orizzonte, cede il posto alle ancor piu' tristi paludi pontine: tutti si sforzano di evitarle per paura della malaria; il terreno umido di questi campi bagnati trasuda febbri estenuanti e di difficile cura; perfino le greggi si fanno piu' rade.

E nello stesso tempo, le citta' gravi e abbandonate di Velletri e Albano, nei loro pressi, sorprendono con la loro popolazione: e' il fiore della stirpe romana, ogni donna e' il tipo della bellezza regolare, classica, ogni uomo puo' servire da modello per un artista, e quale grazia nei movimenti, nelle pose, quali proporzioni armoniche!...lasciata Roma, la contrada selvatica continua sino a Terracina. La piccola citta' e' cupa, il Mediterraneo inquietamente batte alle sue antiche porte; una roccia enorme e del tutto solitaria sta al suo ingresso. Su questa roccia visse una volta un valoroso condottiero, intorno al quale il popolo racconta oggi delle leggende; intorno ad essa, ancora di recente, vivevano folle di banditi, annientate da Leone XII. La roccia magnificamente chiude i domini papali; e' il punto, messo dopo le rovine di Terracina, la Campagna e le Paludi. Oltre la roccia comincia una natura allegra, ridente, del tutto diversa; la popolazione e' assai meno bella, ma si muove di piu', e piu' chiassosa: cominciano a mostrarsi i tratti selvatici dei lazzaroni e le maniere servizievoli della plebe napoletana; l'aspetto serio e superbo del contadino, del povero, del pastore della campagna cede il posto all'espressione beffarda e ai movimenti di pulcinella; al posto della bellezza solenne, regolare, della donna romana, che incute rispetto, si incontrano sguardi sfrontati, provocanti; una graziosa mobilita', tratti irregolari che ispirano sentimenti per nulla simili al rispetto.

Nella popolazione napoletana c'e' qualcosa di faunesco e di priapico; qui nessuno neppure sospetta l'invenzione tedesca dell'amore platonico. Tutta questa differenza di due paesi, di due nature, di due popolazioni, voi la vedete al loro stesso confino, andando da Terracina a Gaeta. Questa asprezza di confini, questa precisazione di carattere, questa naturale personalita' in tutto: monti, pianure, paesi, citta', vegetazione, popolazione di ogni piccola cittadina, e' uno dei tratti principali, una delle caratteristiche dell'Italia. L'indeterminatezza dei colori, dei caratteri, i sogni nebulosi che fondono i limiti, i tratti che svaniscono, i desideri oscuri - tutto cio' appartiene al nord. In Italia tutto e' determinato, chiaro, ogni zolla di terra, ogni piccola citta ha la sua fisionomia, ogni passione il suo scopo, ogni ora la sua luce, l'ombra e' come tagliata col coltello dalla luce; se c'e' una nuvola, e' buio fino all'angoscia, se brilla il sole, riversa oro su tutti gli oggetti, e l'anima si rallegra. Quale enorme differenza nel carattere del Piemonte e Genova, del Piemonte e della Lombardia; la Toscana non somiglia per nulla all'Italia settentrionale ne' alla meridionale; il passaggio da Livorno a Civitavechia non e' meno aspro del passaggio da Terracina a Fondi. Livorno ribolle di gente; citta' chiassosa, di opposizione, attiva e mercantile, esprime la fiorente e alquanto rilasciata Toscana, come una fortezza vuota, disabitata con alte antiche mura che il mare bagna malvolentieri, esprime la non mercantile, cupa, monastica Roma.

Ma la piu' aspra contrapposizione, la piu' brusca antitesi e' data da Roma e Napoli; esse sono cosi diverse fra loro, come una rigida e maestosa matrona lo e' da una petulante e spensierata etera, come la Roma dei tempi delle guerre puniche dalla Roma dei tempi di Tiberio e di Nerone che cercava per simpatia il cielo napoletano. Roma ricorda l'instabilita' delle cose, il passato, la morte, l'eterno memento mori; Napoli ricorda l'inebriante fascino del presente, la vita, il carpe diem. Roma, come una vedova, e' fedele al passato, non si stacca dal cimitero, non dimentica il perduto, le sue rovine le sono piu' necessarie del Quirinale. Napoli e' fedele al godimento, al presente, e' invasa dal demonio e danza su Ercolano, cioe' su di una bara; il fumante Vesuvio le ricorda che e' necessario sfruttare la vita fino a che ci e' data.


Herzen Aleksandr Ivanovic, Lettere dalla Francia e dall'Italia. Napoli, 25 febbraio 1848. In: Ettore Lo Gatto, Russi in Italia. Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 191-192.


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