Italia

Paese, estenuato dalla passionalita del destino!
Amante di tutti i secoli fatali!
I popoli ti onorano, come schiavi,
e gli imperatori, come fanciulli.
Dal trono dei cesari tu giudicasti imperiosamente il mondo
e un piu' grande mondo dal Vaticano.
Il tuo passato potere e' un titolo abbattuto,
ma l'umanita e' ebbra del tuo passato.
I tuoi artisti sull'instabilita delle tele
impressero sogni che non avranno mai uguali!
Essi son porte aperte alle fonti
per tutti coloro che languono di una sete inestinguibile!
Su tutte le vie dell'anima hai steso lo scettro,
come segno di dominio e le genti furono felici,
prosternate ai maestosi lombi,
di baciare l'orlo dei manti, di afferrar parole e sguardi.

Italia! Consacrata imperatrice!
Dove sono il tuo scettro, la corona d'alloro?
E' spezzato il tuo cocchio d'oro,
aperti son gli accessi alla tua corte.
Italia! Sventurata meretrice,
ecco dove sei arrivata, alla fine!
Nei brandelli del manto, in un vestito invecchiato,
la superba bocca arrogantemente storta da un sorriso,
sei uscita a mercanteggiare il tuo bel corpo
e nel tuo talamo s'entra per danaro.
Noi tutti osiam goder delle carezze una volta sacre!
Tutti possiamo vederti nella tua nudita'!
Come donna, sei diventata accessibile a tutti,
e ci vergogniamo di riconoscerti nella fantasia!

Ma sei ancora bella, o Italia!
Sotto il colore preso in prestito del rossetto,
e con una timida sfrontatezza nello sguardo.
Piu bella di tutti i paesi non umiliati
adulati devotamente dal mare prigioniero.
Nelle lagune ancora si riflettono
i palazzi dell'esaltata Venezia,
unica citta di sogno,
e superbi palazzi si innalzano
nella severa e tenera Firenze,
dove fu creato il sogno della bellezza.
E Roma, incantatrice senza eguali,
terribile nella sua grandezza,
giace non viva, ma misteriosa
nei ferri di un magico sogno.
Boschetti imperituri di limoni
fioriscon sotto un cielo inverosimile.
I monti son reclute in fiori bianchi!
Le acque, ebbre di se stesse,
illuminando grotte trasparenti,
parlano e vivono!
Sei bella, o Italia,
dalle Alpi rocciose alla chiara Capri
e oltre,
fino ai deserti della una volta ricca Sicilia,
dove lo scirocco, stanco e sempre piu' debole,
distrugge gli alti gigli,
i fiori di sant'Antonio,
sei bella, o Italia,
come l'armonia nota al cuore!

Sono venuto a te stanco,
perduta la recente strada,
inquieto, in ritardo,
apertamente nell'umidita' delle erbe.
Anche vagabondi per caso
hanno trovato pace nella tua corte…
O come teneramente queste dita
si son posate sul mio volto!
Come il corpo stretto in se stesso
e' odoroso e fresco!
Sia pure finzione, che importa!
Sia pure inganno - io mi sento cosi' bene!
In questa momentanea tenerezza
forse e' riversata in segreto,
sincera e pura
la carezza della madre universale.

Valerij Brjusov, Urbi et Orbi, 1902. In : Ettore Lo Gatto, Russi in Italia. Roma, Editori Riuniti, 1971.

Italia

Un anello arrugginito e' avvitato al muro. Ad esso e' legata una barca e sotto di essa c'e' la profonda acqua trasparente verde azzurra, sul fondo si vedonoi sassi scuri e, sulla superficie ondeggiante, nuotano foglie rossastre di platani, strappate dai malvagi turbini invernali…

Il mattino era roseo, nebuloso e dorato.si chiamavano tra loro i galli. L'erba grigia, per la rugiada, luccicava al sole. Dai giardini veniva l'odore del letame e della terra da poco lavorata. Io andavo lentamente sulle larghe lastre di pietra, scendendo al mare. Davanti a me procedeva una donna che portava sulla testa un secchio di latte e nemmeno lo reggeva con le mani. Ed ecco il suo piede nudo ha schiacciato un limone; stampando sulla pietra le orme umide e facendo leggermente ondeggiare le anche, la donna continua la sua discesa.

Mucchi di castagne arrostite, di pesce, di salsicce. Nelle caldaie cuociono i maccheroni, e tini di rame superbamente espongono al pubblico il loro ventre lucido. Con rimbombo scende giu' per la strada storta una cucina da campo - una piccola stufa caccia fumo, delle candele steariche ardono ficcate in una lampada ad olio, e una grassa e unta venditrice in vestito nero grida qualcosa con voce stridente e si sente un aspro antico odore di pepe e di cannella, - e, fermatasi all'angolo, la cucina da campo comincia con sveltezza il commercio…

Queste - dice lo Jakovlev - sono le incancellabili, indimenticabili impressioni che dona la vera Italia che non esiste per gli stranieri, il cui volto autentico mi si schiude, alla fine, in tutto il suo stupendo fascino…

Vasilij Jakovlev, La mia vocazione. In: Boris Evgen'ev, Iz Avzonii v Italjia. Mosca, ed. Sovetskij pisatel', 1967. In: Ettore Lo Gatto, Russi in Italia. Milano, Editori Riuniti, 1971.


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