Milano

La pianura lombarda, nonostante la sua fertilita', fa venire malinconia con l'uniformita' del paesaggio e lo sconfinato vuoto, quasi di deserto. E' difficile dire perche' sia stata scelta proprio questa localita' per costruirvi una grande citta': qui l'acqua e' insufficiente, qui fu necessario scavare canali, mentre non lontano scorrono i fiumi Po, Ticino, Adda; la localita e' piatta e non pittoresca, mentre non lontano fanno mostra della loro bellezza deliziosi monti e laghi. Affaticato dall'uniformita della strada mi aspettavo che Milano aprisse davanti ai miei occhi il suo panorama. Ma Milano, da lontano, si presenta come una linea nebulosa dentata. Solo la cima del suo Duomo biancheggia sullo sfondo azzurrastro delle montagne lontane. Voi indovinate che vi avvicinate ad una grande citta', perche' la strada comincia ad animarsi, accanto a voi si trascinano massicci buoi, aggiogati a carri di forme primitive, e corrono equipaggi di ultimo modello; e qui stesso si incontra un domenicano che gira a cavallo, riparandosi dal sole sotto un grande ombrello verde. Inavvertitamente si raggiunge la porta della citta': Porta Ticinese, dove un invalido ferma la carrozza con l'inevitabile frase: "I passaporti, signori!"…

E cosi' ci si apre l'ingresso nelle larghe vie, che sembrano rumorose e affollate dopo la strada deserta. Milano, del tutto inaspettatamente, mi ha accolto con la gigantesca colonna antica di un edificio sconosciuto distrutto fino alle fondamenta. E' questa la piu' lunga fila di colonne che si sia conservata dall'epoca romana: i miei compagni ne hanno contate sedici. Il marmo di questi fusti scanalati e coperto di muschio e di ruggine; le foglie di acanto dei capitelli sono rose dal tempo, ma la bellezza del loro stile e' evidente e non mi fa accettare l'opinione degli archeologi che attribuiscono la colonnata milanese alle terme dei tempi di Massimiano, un tempo nel quale l'arte romana non produceva gia' piu' nulla di perfetto.

Non conosco nulla di piu' attraente delle prime passeggiate in una grande citta' sconosciuta. Lasciate le mie cose all'albergo, sfuggii, secondo il mio solito, le prosaiche guide e volontariamente mi smarrii nel labirinto delle vie sconosciute. La fisionomia di Milano non ricorda quella di nessun'altra citta' italiana. Le vie principali sono qui incomparabilmente piu' larghe delle comuni vie italiane. Di edifici medievali ne son rimasti pochissimi, perche' Milano fu soggetta piu' d'una volta a saccheggi. I palazzi piu' nuovi, nella maggior parte dei casi, si trovano lontano dal centro della citta', dove da tempo immemorabile abita la classe mercantile con lunghe file di negozi piu' o meno brillanti. Le case qui non superano i tre o quattro piani e quasi tutte le finestre sono fornite di un piccolo balcone in ferro, dove, quando non c'e' sole, compaiono fiori o giovani signore. Nelle vie di Milano manca il selciato di pietra, di cui si fan belle Genova e Firenze. Le vie di Milano sono selciate di piccolissimi ciottoli e solo per le ruote sono collocate delle sottili strisce parallele di pietra liscia. Ma le carrozze appaiono qui quasi esclusivamente nelle ore della passeggiata. Nei quartieri aristocratici, durante tutto il giorno assolato, le finestre sono ermeticamente chiuse con imposte verdi a strisce, il che da' alla strada un aspetto triste. In questi luoghi, Milano sembra una capitale abbandonata: la magnificenza ha fatto qui amicizia con la tranquillita'. Nel centro della citta', al contrario, dalla mattina presto sino alla notte tarda la vita fa la sua comparsa in tutte le sue manifestazioni.

Nelle vie strette e tortuose dei vecchi quartieri il chiasso e il movimento sono ancora maggiori. Il calderaio, il sarto, il legatore, il calzolaio, lavorano nella via, chiacchierando tra loro e coi passanti; le vicine cominciano la conversazione mattutina attraverso la strada; i ragazzini continuano i loro giochi innocenti, correndo tra le gambe dei passanti e spesso acchiappando le falde dei loro vestiti, allo scopo di nascondersi da qualche sbarazzino o dalla palla, che va a finire sulla guancia di un venditore ambulante che contratta ad alta voce con un signore che si sporge dalla finestra del quinto piano. Intanto le grida dei venditori e i richiami dei commessi dei negozi continuano ininterrottamente. Venditori ambulanti di pantofole o di fiammiferi offrono la loro merce, come i venditori di castagne che dalla mattina alla notte tarda scuotono le loro grosse padelle sul fornello coi carboni roventi, arrostendo le gustose castagne, di cui qui si saziano centinaia di affamati. Sul sagrato delle chiese, sui piedistalli delle colonne e sui gradini sono esposti in quantita opuscoli religiosi, leggende, vite di santi, immagini di martiri, rosari e svariati amuleti e talismani…

In mezzo a questo eterno turbine della vita italiana, in mezzo a queste fisionomie mobili e a questo ininterrotto chiacchierio, i granatieri ungheresi muti ed immobili, nei loro chepi' di orso, che stanno di guardia agli edifici pubblici, sembrano delle cariatidi. Nelle vie di Milano gia' c'e' incomparabilmente meno disordine poetico che nelle altre citta' d'Italia. Qui, molto di rado vedete qualcuno che dorma sul selciato o sui gradini di una chiesa. In generale, i giacigli nelle vie e la siesta in mezzo alle piazze, secondo l'abitudine napoletana, non sono ammessi. Nessun poveretto osa cercare di riposare negli atri, nei corridoi, sulle scale dei palazzi, come si fa a Napoli.

Ritenevo di trovare qui una citta' in cui si notasse molto chiaramente la penetrazione dell'elemento germanico. Invece il carattere generale di Milano e' un miscuglio di italiano e di francese. Il signor Viardot trova perfino che nell'aspetto esteriore di Milano c'e' qualcosa di Madrid. I bevitori di vino e i bevitori di birra si sono trovati qui, faccia a faccia, e ne' l'uno ne' l'altro hanno minimamente perduto i tratti caratteristici del loro tipo; le loro fisionomie morali hanno ben poco di comune, cosi' come questi riccioli neri, questi occhi neri, questo profilo regolare da una parte e questi capelli, piu' o meno color castano, e questi tratti irregolari, e questi occhi grigi e queste lentiggini dall'altra. La lingua tedesca non e' fatta per l'italiano; piuttosto il tedesco impara a storpiare la lingua di Dante. A Milano i postini, i facchini, gli agenti della dogana e perfino i poliziotti, per lo meno quelli con i quali io ho avuto a che fare, tutti borbottano in italiano…Il dialetto milanese per se stesso non somiglia molto alla "lingua del Petrarca e dell'amore", nei suoi suoni si nota gia' l'influenza del nord; vi potete immaginare che cosa diventa sulle labbra di un ungherese o di un croato.

Non elenchero' le innumerevoli prove della inveterata antipatia degli italiani per gli stranieri e per le stirpi germaniche in particolare. E' un'antica antipatia che a suo tempo fu sostenuta da Dante, Petrarca e Machiavelli. E comunque sia, la Lombardia, per lingua, costumi, carattere, rimane un paese italiano.

La vita nelle vie di Milano e' organizzata del tutto su principi italiani. La classe povera fa tutti i suoi affari e tutte le sue faccende domestiche nella strada: la biancheria si asciuga sulle pertiche messe fuori delle finestre, l'artigiano lavora davanti alla sua porta all'aria aperta, e canticchia arie di opere che, nelle citta' italiane, fanno dimenticare i canti nazionali anche al popolo semplice. Nemmeno nei piu' minuti tratti della vita popolare c'e' la minima analogia con quella della vicina Germania. Cosi', per esempio, servitu' di sesso femminile a Milano non ce n'e' quasi. Gli uomini non solo si occupano della cucina, fanno le compere di provviste alimentari, ma puliscono le camere, fanno i letti, lavano i piatti… Alle donne, a Milano, evidentemente e' affidata una sola cura, quella di adornarsi e abbellire con la propria persona la vita ufficiale dell'uomo. Mattina e sera le graziose donne passano ore intere alla finestra o sul balcone, cercando di riconoscere tra i passanti i propri conoscenti e salutandoli poi con un sorriso o con un grazioso gesto della mano. Il cucire o il lavorare a maglia evidentemente a queste belle viene presto a noia; quanto ai libri non ne ho mai visti nelle loro mani, sebbene abbia avuto abbastanza occasioni di notare che le loro sono mani da miniatura. Le italiane in generale sono piu' propense a godersi la sostanza reale della vita che le fantasie dei romanzi, e evidentemente preferiscono il voluttuoso far niente a qualsiasi occupazione, e bisogna rendere giustizia alle italiane, che sanno darsi all'ozio senza annoiarsi. Le mie vicine che sorridono eternamente compaiono almeno cento volte al giorno sul balcone; perfino nelle sere oscure la loro presenza al balcone e' rivelata da un punto di fuoco e dal filo sottile del fumo della sigaretta. Un mio vicino, un prussiano, che insieme a me studia i tipi della bellezza lombarda, vedendo davanti a se' questo quadro di ozio, spesso esclama: " Quante dozzine di calze avrebbe fatto durante tutto questo tempo una tedesca…"

Nelle ore di massima afa io mi riparo sotto le fresche volte dei monasteri, dei musei o delle biblioteche. La famosa Biblioteca Ambrosiana l'ho visitata piu' volte e i conservatori dei manoscritti e dei libri mi hanno incantato sempre con la loro erudizione e cortesia. Questa biblioteca e' una delle piu' antiche d'Europa e notevole, s'intende, non dal punto di vista dell'edificio, che e' privo di qualsiasi importanza architettonica, ma da quello della sua ricca collezione di manoscritti, prevalentemente materiali per la storia del Medio Evo. La scienza ha qui una ricca messe, e l'enorme numero di frequentatori, curvi sugli in folio e sui manoscritti, dimostra che la scienza in Lombardia e' in onore. E' noto che a Milano, nonostante le circostanze piu' sfavorevoli, il commercio dei libri e' sviluppato piu' che nelle altre capitali italiane… Nella Biblioteca Ambrosiana i libri e i manoscritti hanno ceduto una sala ai quadri, e davanti al visitatore vengono pronunziati qui i nomi dei maestri piu' famosi…
Il museo milanese di Brera si trova in un edificio grandioso che in origine era occupato da un collegio dei gesuiti. Adesso e' magnificamente chiamato Palazzo delle scienze e delle arti. Sono riuniti qui l'Accademia, la Biblioteca, il Gabinetto numismatico, l'Osservatorio, ricco di eccellenti strumenti astronomici e, finalmente, un'ampia Galleria di quadri. Passando in questa non potei non fermarmi ad ammirare l'elegante colonnato che circonda il cortile quadrato dell'edificio; le colonne che reggono archi leggeri, sono riunite a coppie e sono tutte monolitiche, di granito. Nella galleria, le pareti dei corridoi sono coperte di affreschi, tolti con grande abilita' dalle pareti dei monasteri chiusi dove andavano in rovina a causa dell'oscurita' e dell'umidita'. Sono tutte opere interessantissime di maestri dei secoli XV e XVI, tra i quali Benozzo Bozzoli, Bernardino Luini ed altri.
I musei di Milano hanno uno svantaggio rispetto a quelli di altre citta': i viaggiatori, che tendono a Firenze e a Roma, visitano le gallerie milanesi frettolosamente, mentre quelli che tornano dall'Italia centrale, stanchi e sazi della vista di tanti tesori d'arte capaci di dar godimento per tutta la vita, naturalmente a Milano rivolgono la loro attenzione al solo Duomo.


Vladimir Dmitrievic Jakovlev; Italia,Lettere da Venezia, Roma, Napoli. San Pietroburgo, 1855. In: Ettore Lo Gatto, Russi in Italia. Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 167-170.

Venezia; Milano, incontro con Manzoni

Mio caro Ivan Ivanovic,…
pensa un po' da dove ti scrivo. Da Venezia! A questo nome davanti ai tuoi occhi chiusi appaiono Tasso, Byron e migliaia di ombre gigantesche e poetiche del passato. Abito sulla riva del Canal Grande, nelle stanze una volta occupate dall'imperatore Alessandro. Ho una camera ad angolo. Le finestre, come dappertutto in Italia, fino al soffitto e con balconi. Esco su di un balcone e davanti a me il largo canale e qualcosa di simile alla vista dalle finestre del Palazzo d'Inverno, sulla Borsa e sull'Ammiragliato a Pietroburgo: un'uguale ampiezza di acque; al posto della Borsa, la chiesa di San Giorgio Maggiore, e al posto della chiesa dei SS: Pietro e Paolo, la magnifica chiesa della Salute, il monumento alla salvezza di Venezia dalla peste bubbonica. Esco su un altro balcone e qui la vista e' gia' del tutto unica. Proprio davanti alla mia finestra si innalza, coprendola, l'enorme colosso di granito con San Teodoro sul capitello e accanto ad essa un'altra colonna col Leone alato di S. Marco: tutte e due monumenti dell'assedio di Tiro e delle crociate. Davanti ad esse la cosiddetta Piazzetta di San Marco, limitata da un lato dalla Chiesa di San Marco, dall'altra dal meraviglioso Palazzo dei Dogi, davanti al quale si stende l'ampia riva ove s'innalza una serie di magnifici edifici, tutti, fino all'ultimo, mausolei funebri del passato. Ma essi sono piu' tristi di un monumento funebre. La tomba non e' vuota; essa custodisce qualcosa che le e' stato affidato per l'eternita' e per l'eternita le appartiene; ma un magnifico edificio, destinato alla distruzione, esprime in modo che colpisce l'assenza di una grandezza o di una bellezza passata.

Ma basta! Lasciamo Venezia. Io non ho ancora veduto nulla; siamo appena arrivati e non abbiamo avuto il tempo di guardarci intorno. Piuttosto ti raccontero' un'altra cosa, per te piu' interessante.

Sono stato a Milano dal Manzoni. La cosa e' avvenuta inaspettatamente. Io non speravo di avere questa fortuna perche' mi avevano detto che Manzoni non riceve nessuno essendo ammalato e non amando la societa'. L'astronomo milanese Fraiani, che ho conosciuto ad Isola Bella pranzando dal Borromei e col quale abbiamo girato per Milano, si offri' di andare dal Manzoni e di procurarmi questa gioia. Lo trovo' a casa ed io fui ricevuto. Sono rimasto con lui due ore e, naturalmente, queste due ore fanno parte delle ore belle della mia vita: ho goduto del vivo sentimento della simpatia, simpatia per qualche cosa di elevato che porta nell'animo come un ordine luminoso e produce in esso una completa armonia, come e' sua missione, ma che solo a tratti le e' concesso in questa vita. Egli stava in piedi davanti al camino, quando io entrai, e subito mi offri' un paravento a mano, invitandomi a sedere sul sofa' di fronte al camino. Io mi sedetti come a casa mia, come presso un vecchio e caro conoscente, tanto mi sentii subito a mio agio. Io non sono fisionomista, ma il volto del Manzoni mi si e' impresso nella memoria, sebbene non sappia descriverlo nei particolari, perche' ricordo l'espressione di questo volto che mi piaceva tanto, ma non so di che colore sono gli occhi, i capelli ecc. Dei tratti regolari, il cui carattere e la cui nobilta sono una certa attraente finezza unita ad una leale modestia…

Balbetta un poco, ma questo difetto non guasta ed egli non se ne mortifica. Quel che abbiamo detto, in generale, me lo ricordo, ma non so riprodurlo in una lettera. So soltanto che questi pochi minuti sono stati per me di felicita', come in passato simili minuti con Karamzin, a star col quale l'anima si riscaldava e comprendeva piu chiaramente perche' si trova al mondo. Durante la nostra conversazione entro' un giovane, il cui nome ho dimenticato; dopo essere rimasto un po' con noi, ando via: era il bastone di Manzoni. La sua malattia, come egli stesso mi disse, e' una forte irritazione dei nervi. Una volta, uscendo solo, cadde privo di sensi, e da allora non esce mai solo, ma sempre al braccio di qualcuno. Il giovane era venuto per accompagnarlo alla sua solita passeggiata mattutina. Io non lasciai sfuggire questa occasione e raccontai al Manzoni di te; ed egli mi disse che ti conosceva e mi porse un esemplare dei tuoi versi con la tua firma e all'atto di congedarmi mi disse di salutarti. Egli ricorda anche Vjazemskij. Io avevo comperato un esemplare delle sue opere complete e lo pregai di scrivervi il suo nome; ecco quel che egli ha scritto: "L'autore contera' sempre tra i suoi giorni piu' felici quello in cui gli fu dato di conoscere il signor Joukovsky, A.M.". E adesso basta. Ti abbraccio cordialmente ecc. Zukovskij.
Comincio a imparare l'italiano e quando tornero', probabilmente ti leggero' le stanze del Tasso.

Zukovskij Vasilij Andreevic, Lettera da Venezia all'amico poeta Ivan Ivanovic Kozlov, 4 novembre 1838. In Sobranie socinenij. Mosca-Leningrado, 1950, p. 638-640. In Ettore Lo Gatto, Russi in Italia. Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 123-124.


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