Jakovlev Vladimir Dmitrievic

Nato nel 1817, Jakovlev deve la sua fama non tanto alla sua attivita' di scrittore, quanto di giornalista.
Le sue corrispondenze dall'Italia, di notevole rilievo, furono tali da essere pubblicate in due volumi nel 1855 con il titolo
"Italia. Lettere da Venezia, Roma, Napoli".
Fu viaggiatore instancabile, percorrendo e descrivendo l'Italia da nord a sud attraverso le grandi citta', senza trascurare piccole ma suggestive localita'.
Mori' a san Pietroburgo il 3 novembre 1884.

Ruggiero Mascolo,5/2005

Milano

La pianura lombarda, nonostante la sua fertilita', fa venire malinconia con l'uniformita' del paesaggio e lo sconfinato vuoto, quasi di deserto. E' difficile dire perche' sia stata scelta proprio questa localita' per costruirvi una grande citta': qui l'acqua e' insufficiente, qui fu necessario scavare canali, mentre non lontano scorrono i fiumi Po, Ticino, Adda; la localita e' piatta e non pittoresca, mentre non lontano fanno mostra della loro bellezza deliziosi monti e laghi. Affaticato dall'uniformita della strada mi aspettavo che Milano aprisse davanti ai miei occhi il suo panorama. Ma Milano, da lontano, si presenta come una linea nebulosa dentata. Solo la cima del suo Duomo biancheggia sullo sfondo azzurrastro delle montagne lontane. Voi indovinate che vi avvicinate ad una grande citta', perche' la strada comincia ad animarsi, accanto a voi si trascinano massicci buoi, aggiogati a carri di forme primitive, e corrono equipaggi di ultimo modello; e qui stesso si incontra un domenicano che gira a cavallo, riparandosi dal sole sotto un grande ombrello verde. Inavvertitamente si raggiunge la porta della citta': Porta Ticinese, dove un invalido ferma la carrozza con l'inevitabile frase: "I passaporti, signori!"…

E cosi' ci si apre l'ingresso nelle larghe vie, che sembrano rumorose e affollate dopo la strada deserta. Milano, del tutto inaspettatamente, mi ha accolto con la gigantesca colonna antica di un edificio sconosciuto distrutto fino alle fondamenta. E' questa la piu' lunga fila di colonne che si sia conservata dall'epoca romana: i miei compagni ne hanno contate sedici. Il marmo di questi fusti scanalati e coperto di muschio e di ruggine; le foglie di acanto dei capitelli sono rose dal tempo, ma la bellezza del loro stile e' evidente e non mi fa accettare l'opinione degli archeologi che attribuiscono la colonnata milanese alle terme dei tempi di Massimiano, un tempo nel quale l'arte romana non produceva gia' piu' nulla di perfetto.

Non conosco nulla di piu' attraente delle prime passeggiate in una grande citta' sconosciuta. Lasciate le mie cose all'albergo, sfuggii, secondo il mio solito, le prosaiche guide e volontariamente mi smarrii nel labirinto delle vie sconosciute. La fisionomia di Milano non ricorda quella di nessun'altra citta' italiana. Le vie principali sono qui incomparabilmente piu' larghe delle comuni vie italiane. Di edifici medievali ne son rimasti pochissimi, perche' Milano fu soggetta piu' d'una volta a saccheggi. I palazzi piu' nuovi, nella maggior parte dei casi, si trovano lontano dal centro della citta', dove da tempo immemorabile abita la classe mercantile con lunghe file di negozi piu' o meno brillanti. Le case qui non superano i tre o quattro piani e quasi tutte le finestre sono fornite di un piccolo balcone in ferro, dove, quando non c'e' sole, compaiono fiori o giovani signore. Nelle vie di Milano manca il selciato di pietra, di cui si fan belle Genova e Firenze. Le vie di Milano sono selciate di piccolissimi ciottoli e solo per le ruote sono collocate delle sottili strisce parallele di pietra liscia. Ma le carrozze appaiono qui quasi esclusivamente nelle ore della passeggiata. Nei quartieri aristocratici, durante tutto il giorno assolato, le finestre sono ermeticamente chiuse con imposte verdi a strisce, il che da' alla strada un aspetto triste. In questi luoghi, Milano sembra una capitale abbandonata: la magnificenza ha fatto qui amicizia con la tranquillita'. Nel centro della citta', al contrario, dalla mattina presto sino alla notte tarda la vita fa la sua comparsa in tutte le sue manifestazioni.

Nelle vie strette e tortuose dei vecchi quartieri il chiasso e il movimento sono ancora maggiori. Il calderaio, il sarto, il legatore, il calzolaio, lavorano nella via, chiacchierando tra loro e coi passanti; le vicine cominciano la conversazione mattutina attraverso la strada; i ragazzini continuano i loro giochi innocenti, correndo tra le gambe dei passanti e spesso acchiappando le falde dei loro vestiti, allo scopo di nascondersi da qualche sbarazzino o dalla palla, che va a finire sulla guancia di un venditore ambulante che contratta ad alta voce con un signore che si sporge dalla finestra del quinto piano. Intanto le grida dei venditori e i richiami dei commessi dei negozi continuano ininterrottamente. Venditori ambulanti di pantofole o di fiammiferi offrono la loro merce, come i venditori di castagne che dalla mattina alla notte tarda scuotono le loro grosse padelle sul fornello coi carboni roventi, arrostendo le gustose castagne, di cui qui si saziano centinaia di affamati. Sul sagrato delle chiese, sui piedistalli delle colonne e sui gradini sono esposti in quantita opuscoli religiosi, leggende, vite di santi, immagini di martiri, rosari e svariati amuleti e talismani…

In mezzo a questo eterno turbine della vita italiana, in mezzo a queste fisionomie mobili e a questo ininterrotto chiacchierio, i granatieri ungheresi muti ed immobili, nei loro chepi' di orso, che stanno di guardia agli edifici pubblici, sembrano delle cariatidi. Nelle vie di Milano gia' c'e' incomparabilmente meno disordine poetico che nelle altre citta' d'Italia. Qui, molto di rado vedete qualcuno che dorma sul selciato o sui gradini di una chiesa. In generale, i giacigli nelle vie e la siesta in mezzo alle piazze, secondo l'abitudine napoletana, non sono ammessi. Nessun poveretto osa cercare di riposare negli atri, nei corridoi, sulle scale dei palazzi, come si fa a Napoli.

Ritenevo di trovare qui una citta' in cui si notasse molto chiaramente la penetrazione dell'elemento germanico. Invece il carattere generale di Milano e' un miscuglio di italiano e di francese. Il signor Viardot trova perfino che nell'aspetto esteriore di Milano c'e' qualcosa di Madrid. I bevitori di vino e i bevitori di birra si sono trovati qui, faccia a faccia, e ne' l'uno ne' l'altro hanno minimamente perduto i tratti caratteristici del loro tipo; le loro fisionomie morali hanno ben poco di comune, cosi' come questi riccioli neri, questi occhi neri, questo profilo regolare da una parte e questi capelli, piu' o meno color castano, e questi tratti irregolari, e questi occhi grigi e queste lentiggini dall'altra. La lingua tedesca non e' fatta per l'italiano; piuttosto il tedesco impara a storpiare la lingua di Dante. A Milano i postini, i facchini, gli agenti della dogana e perfino i poliziotti, per lo meno quelli con i quali io ho avuto a che fare, tutti borbottano in italiano…Il dialetto milanese per se stesso non somiglia molto alla "lingua del Petrarca e dell'amore", nei suoi suoni si nota gia' l'influenza del nord; vi potete immaginare che cosa diventa sulle labbra di un ungherese o di un croato.

Non elenchero' le innumerevoli prove della inveterata antipatia degli italiani per gli stranieri e per le stirpi germaniche in particolare. E' un'antica antipatia che a suo tempo fu sostenuta da Dante, Petrarca e Machiavelli. E comunque sia, la Lombardia, per lingua, costumi, carattere, rimane un paese italiano.

La vita nelle vie di Milano e' organizzata del tutto su principi italiani. La classe povera fa tutti i suoi affari e tutte le sue faccende domestiche nella strada: la biancheria si asciuga sulle pertiche messe fuori delle finestre, l'artigiano lavora davanti alla sua porta all'aria aperta, e canticchia arie di opere che, nelle citta' italiane, fanno dimenticare i canti nazionali anche al popolo semplice. Nemmeno nei piu' minuti tratti della vita popolare c'e' la minima analogia con quella della vicina Germania. Cosi', per esempio, servitu' di sesso femminile a Milano non ce n'e' quasi. Gli uomini non solo si occupano della cucina, fanno le compere di provviste alimentari, ma puliscono le camere, fanno i letti, lavano i piatti… Alle donne, a Milano, evidentemente e' affidata una sola cura, quella di adornarsi e abbellire con la propria persona la vita ufficiale dell'uomo. Mattina e sera le graziose donne passano ore intere alla finestra o sul balcone, cercando di riconoscere tra i passanti i propri conoscenti e salutandoli poi con un sorriso o con un grazioso gesto della mano. Il cucire o il lavorare a maglia evidentemente a queste belle viene presto a noia; quanto ai libri non ne ho mai visti nelle loro mani, sebbene abbia avuto abbastanza occasioni di notare che le loro sono mani da miniatura. Le italiane in generale sono piu' propense a godersi la sostanza reale della vita che le fantasie dei romanzi, e evidentemente preferiscono il voluttuoso far niente a qualsiasi occupazione, e bisogna rendere giustizia alle italiane, che sanno darsi all'ozio senza annoiarsi. Le mie vicine che sorridono eternamente compaiono almeno cento volte al giorno sul balcone; perfino nelle sere oscure la loro presenza al balcone e' rivelata da un punto di fuoco e dal filo sottile del fumo della sigaretta. Un mio vicino, un prussiano, che insieme a me studia i tipi della bellezza lombarda, vedendo davanti a se' questo quadro di ozio, spesso esclama: " Quante dozzine di calze avrebbe fatto durante tutto questo tempo una tedesca…"

Nelle ore di massima afa io mi riparo sotto le fresche volte dei monasteri, dei musei o delle biblioteche. La famosa Biblioteca Ambrosiana l'ho visitata piu' volte e i conservatori dei manoscritti e dei libri mi hanno incantato sempre con la loro erudizione e cortesia. Questa biblioteca e' una delle piu' antiche d'Europa e notevole, s'intende, non dal punto di vista dell'edificio, che e' privo di qualsiasi importanza architettonica, ma da quello della sua ricca collezione di manoscritti, prevalentemente materiali per la storia del Medio Evo. La scienza ha qui una ricca messe, e l'enorme numero di frequentatori, curvi sugli in folio e sui manoscritti, dimostra che la scienza in Lombardia e' in onore. E' noto che a Milano, nonostante le circostanze piu' sfavorevoli, il commercio dei libri e' sviluppato piu' che nelle altre capitali italiane… Nella Biblioteca Ambrosiana i libri e i manoscritti hanno ceduto una sala ai quadri, e davanti al visitatore vengono pronunziati qui i nomi dei maestri piu' famosi…
Il museo milanese di Brera si trova in un edificio grandioso che in origine era occupato da un collegio dei gesuiti. Adesso e' magnificamente chiamato Palazzo delle scienze e delle arti. Sono riuniti qui l'Accademia, la Biblioteca, il Gabinetto numismatico, l'Osservatorio, ricco di eccellenti strumenti astronomici e, finalmente, un'ampia Galleria di quadri. Passando in questa non potei non fermarmi ad ammirare l'elegante colonnato che circonda il cortile quadrato dell'edificio; le colonne che reggono archi leggeri, sono riunite a coppie e sono tutte monolitiche, di granito. Nella galleria, le pareti dei corridoi sono coperte di affreschi, tolti con grande abilita' dalle pareti dei monasteri chiusi dove andavano in rovina a causa dell'oscurita' e dell'umidita'. Sono tutte opere interessantissime di maestri dei secoli XV e XVI, tra i quali Benozzo Bozzoli, Bernardino Luini ed altri.
I musei di Milano hanno uno svantaggio rispetto a quelli di altre citta': i viaggiatori, che tendono a Firenze e a Roma, visitano le gallerie milanesi frettolosamente, mentre quelli che tornano dall'Italia centrale, stanchi e sazi della vista di tanti tesori d'arte capaci di dar godimento per tutta la vita, naturalmente a Milano rivolgono la loro attenzione al solo Duomo.


Vladimir Dmitrievic Jakovlev; Italia,Lettere da Venezia, Roma, Napoli. San Pietroburgo, 1855. In: Ettore Lo Gatto, Russi in Italia. Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 167-170.

Mezzogiorno italiano

Il mezzogiorno italiano, che scotta con i raggi verticali, costringe tutti gli esseri vivi a nascondersi nell'ombra. E' l'ora della siesta generale. La polvere non si solleva sulla strada, il pastore si nasconde sotto i folti rami e dorme sull'erba che conserva il suo color verde soltanto sotto la protezione degli alberi ombrosi, - tutto tace, tutto sonnecchia…Questa generosa terra fornisce non pochi poeti e improvvisatori; la serenita' di questo cielo si comunica anche all'anima, sembra che questa natura sorridente abitui a considerare la vita con un sorriso e con indifferenza. Si potrebbe pensare, che tutti questi sonetti, canzoni e improvvisazioni siano create in mezzo ad una quiete orientale, dove nel corso di interi secoli non si sente che il fruscio dei rami delle palme e il cadenzato rumore delle onde del mare.

Jakovlev Vladimir: Italia, 2 volumi. In Ettore Lo Gatto: Russi in Italia. Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 167.

Amalfi, Camaldoli


Avendo intenzione di visitare Amalfi, scelsi una delle strade di montagna verso il golfo di Salerno. E' una via di mezzo tra la strada e la scala, ora tagliata con gradini per le rocce, ora serpeggiante per le colline, le gole e le valli; il capriccioso sentiero ora vi porta sotto le nuvole, ora vi cala nell'abisso. Cio' non e' certo sempre comodo, ma in compenso e' sempre pittoresco. In Italia, come quasi dappertutto, io cerco, per quanto e' possibile, di evitare le strade maestre; soltanto in questo modo si puo' conoscere piu' da vicino questa bellissima terra e il suo popolo, che e' stato cosi' spesso calunniato dai viaggiatori che hanno avuto a che fare unicamente coi servi delle trattorie e coi ciceroni…

Per un pedone che conosca i posti, da Sorrento ad Amalfi ci saranno otto ore di cammino. Ma la strada diretta non mi attirava per nulla. Salito sulle pittoresche e severe rocce, congedai il mulo e la guida che per una moneta in piu' tento' persino di baciarmi la mano in segno di gratitudine. Congedandomi da lui, mi informai sulla direzione della strada, con la ferma disposizione di smarrirmi alla prima buona occasione.

Ero solo in mezzo a questo deserto montagnoso; mi circondava la natura che amava Salvator Rosa, le montagne maestose, ma severe e non accoglienti: vedevo dappertutto soltanto frammenti di rocce, cespugli disseccati dal sole, alberi bruciati dal fulmine. Salivo sempre piu' in alto, sempre piu' in alto, e le nuvole scendevano; e senza aver raggiunto ancora la cima della roccia camminavo gia' dentro una nuvola, esperimentando tutto il disagio di una passeggiata degli dei di Esiodo. Quando un colpo di vento strappava questo velo umido, il mio sguardo cadeva sui profondi precipizi e sulle rocce inospitali. Finalmente, con eccezionale piacere, notai sotto di me un villaggetto attaccato al fianco della montagna. Questo rifugio doveva essere a un centinaio di passi da me, eppure per scenderci ci misi quasi un'ora.

Delle ragazze che, canterellando allegramente e ridendo sonoramente, sciacquavano la biancheria in un antico sarcofago, mi accolsero come uno che venisse dalla luna. Alcune misero la loro brocca sotto il getto d'acqua cristallina della fontana che cadeva in questo bacino ovale, tagliato in un granito orientale e, sorridendo timidamente, mi offrirono da rinfrescarmi. Queste belle abbronzate, con antica grazia sollevavano la brocca sulla testa, sorreggendola leggermente con una mano, e tenendo l'altra appoggiata sull'altro rigoglioso fianco, se ne andavano per i viottoli della montagna, che in alcuni punti sono tagliati nella roccia come gradini. Nel portamento delle donne meridionali si nota una innata distinzione e una insopprimibile attrazione. Nonostante l'estrema negligenza del costume in generale, queste giovani donne dimostrano una specie di gusto classico nell'acconciatura dei loro capelli di un color nero corvino e sempre belli: le trecce lunghe e folte sono a stento sorrette da un colossale spillone di bronzo che, in caso di bisogno, fa, con gran successo, anche la parte di stilo. Questo miscuglio di grazia e di miseria, di piedi scalzi e di eleganti pettinature s'incontra solo nel sud.

La notte mi sorprese nelle montagne. Rivolsi i miei passi verso il primo lumicino che si era acceso insieme alle stelle e presto bussai alla porta del convento dei Camaldoli. Il viandante fu accolto con cordialita patriarcale e fu diviso con lui il pane, il vino e la frutta succosa…

Non conosco nulla di piu' delizioso e variato dei colli dove, solitario, di buon mattino, senza fastidiosi compagni di strada, continuai la mia odissea a piedi. Questi luoghi ridenti mi facevano ricordare i giardini favolosi delle Esperidi. Il verde smagliante degli aranci, scintillanti coi loro frutti d'oro, le foglie d'argento opaco degli ulivi, i sinuosi alberi di fichi e gelsi intrecciati con la vite selvatica, i mirti in fiore e le migliaia di fiori del sud a me sconosciuti, - tutto questo si stendeva per il colli in un quadro pittoresco. E sopra questo poetico giardino si innalzavano le masse fantastiche degli Appennini che si disegnavano con profili argentei e madreperlacei sullo sfondo azzurro vellutato del cielo italiano.

Gli attraenti dettagli di questo scenario mi avevano allontanato dal sentiero che mi era stato indicato; camminavo gia' da mezz'ora, secondo il metodo dei pittori, a casaccio, dove portano gli occhi. Le erbe fiorite all'ombra degli alberi erano cosi' profumate che, involontariamente mi sdraiai per riposare. Mai forse nella vita mi ero abbandonato alla fantasticheria con una cosi' deliziosa spensieratezza.

Jakovlev Vladimir: Italia, 2 volumi. In: Ettore Lo Gatto: Russi in Italia. Roma, Editori Riuniti., 1971, p. 165-166.


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