Amalfi, Camaldoli


Avendo intenzione di visitare Amalfi, scelsi una delle strade di montagna verso il golfo di Salerno. E' una via di mezzo tra la strada e la scala, ora tagliata con gradini per le rocce, ora serpeggiante per le colline, le gole e le valli; il capriccioso sentiero ora vi porta sotto le nuvole, ora vi cala nell'abisso. Cio' non e' certo sempre comodo, ma in compenso e' sempre pittoresco. In Italia, come quasi dappertutto, io cerco, per quanto e' possibile, di evitare le strade maestre; soltanto in questo modo si puo' conoscere piu' da vicino questa bellissima terra e il suo popolo, che e' stato cosi' spesso calunniato dai viaggiatori che hanno avuto a che fare unicamente coi servi delle trattorie e coi ciceroni…

Per un pedone che conosca i posti, da Sorrento ad Amalfi ci saranno otto ore di cammino. Ma la strada diretta non mi attirava per nulla. Salito sulle pittoresche e severe rocce, congedai il mulo e la guida che per una moneta in piu' tento' persino di baciarmi la mano in segno di gratitudine. Congedandomi da lui, mi informai sulla direzione della strada, con la ferma disposizione di smarrirmi alla prima buona occasione.

Ero solo in mezzo a questo deserto montagnoso; mi circondava la natura che amava Salvator Rosa, le montagne maestose, ma severe e non accoglienti: vedevo dappertutto soltanto frammenti di rocce, cespugli disseccati dal sole, alberi bruciati dal fulmine. Salivo sempre piu' in alto, sempre piu' in alto, e le nuvole scendevano; e senza aver raggiunto ancora la cima della roccia camminavo gia' dentro una nuvola, esperimentando tutto il disagio di una passeggiata degli dei di Esiodo. Quando un colpo di vento strappava questo velo umido, il mio sguardo cadeva sui profondi precipizi e sulle rocce inospitali. Finalmente, con eccezionale piacere, notai sotto di me un villaggetto attaccato al fianco della montagna. Questo rifugio doveva essere a un centinaio di passi da me, eppure per scenderci ci misi quasi un'ora.

Delle ragazze che, canterellando allegramente e ridendo sonoramente, sciacquavano la biancheria in un antico sarcofago, mi accolsero come uno che venisse dalla luna. Alcune misero la loro brocca sotto il getto d'acqua cristallina della fontana che cadeva in questo bacino ovale, tagliato in un granito orientale e, sorridendo timidamente, mi offrirono da rinfrescarmi. Queste belle abbronzate, con antica grazia sollevavano la brocca sulla testa, sorreggendola leggermente con una mano, e tenendo l'altra appoggiata sull'altro rigoglioso fianco, se ne andavano per i viottoli della montagna, che in alcuni punti sono tagliati nella roccia come gradini. Nel portamento delle donne meridionali si nota una innata distinzione e una insopprimibile attrazione. Nonostante l'estrema negligenza del costume in generale, queste giovani donne dimostrano una specie di gusto classico nell'acconciatura dei loro capelli di un color nero corvino e sempre belli: le trecce lunghe e folte sono a stento sorrette da un colossale spillone di bronzo che, in caso di bisogno, fa, con gran successo, anche la parte di stilo. Questo miscuglio di grazia e di miseria, di piedi scalzi e di eleganti pettinature s'incontra solo nel sud.

La notte mi sorprese nelle montagne. Rivolsi i miei passi verso il primo lumicino che si era acceso insieme alle stelle e presto bussai alla porta del convento dei Camaldoli. Il viandante fu accolto con cordialita patriarcale e fu diviso con lui il pane, il vino e la frutta succosa…

Non conosco nulla di piu' delizioso e variato dei colli dove, solitario, di buon mattino, senza fastidiosi compagni di strada, continuai la mia odissea a piedi. Questi luoghi ridenti mi facevano ricordare i giardini favolosi delle Esperidi. Il verde smagliante degli aranci, scintillanti coi loro frutti d'oro, le foglie d'argento opaco degli ulivi, i sinuosi alberi di fichi e gelsi intrecciati con la vite selvatica, i mirti in fiore e le migliaia di fiori del sud a me sconosciuti, - tutto questo si stendeva per il colli in un quadro pittoresco. E sopra questo poetico giardino si innalzavano le masse fantastiche degli Appennini che si disegnavano con profili argentei e madreperlacei sullo sfondo azzurro vellutato del cielo italiano.

Gli attraenti dettagli di questo scenario mi avevano allontanato dal sentiero che mi era stato indicato; camminavo gia' da mezz'ora, secondo il metodo dei pittori, a casaccio, dove portano gli occhi. Le erbe fiorite all'ombra degli alberi erano cosi' profumate che, involontariamente mi sdraiai per riposare. Mai forse nella vita mi ero abbandonato alla fantasticheria con una cosi' deliziosa spensieratezza.

Jakovlev Vladimir: Italia, 2 volumi. In: Ettore Lo Gatto: Russi in Italia. Roma, Editori Riuniti., 1971, p. 165-166.


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