Perugia

I testimoni muti

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Abbiamo ammirato a sazieta' Perugia, la capitale dell'Umbria, la patria di San Francesco. Essa e' anche la patria del Perugino e di Raffaello. Ecco tre luminosissimi nomi; se vi si aggiunge che l'alta collina di Perugia annega nell'aria celestina, e' dolcemente illuminata dal sole, e' bagnata da fresche piogge e dai soffi del piu' tenero vento, non rimane che meravigliarsi di cio' che si vede e di cio' che si rammenta.

Perche' sono cosi' rosse le vesti dell'angelo dalla faccia scura, che emerge dallo sfondo d'oro cupo davanti a Maria dal viso ombrato, negli affreschi di Gian Nicola Manni?...

Indubbiamente, una parte del carattere cupo delle mie impressioni, debbo attribuirle a me stesso: perche' gli incubi russi non si possono affogare sempre nel sole italiano. Ma l'altra parte, la maggiore, di questo umore tetro, si spiega col fatto che la vita di Perugia e' morta, una nuova non ci sara', e la vecchia canta come una tromba, con le voci degli animali sui portali, sulle fontane, sugli stemmi, e soprattutto con le voci dei lontani antenati, testimoni invisibili, che vivono di una propria vita, sotto terra.

Perugia e' inebriante come il vecchio vino. Dopo averla ammirata a sazieta', lasciando da parte la grande piazza profanata dal migliore albergo della citta', scendiamo la sua ripida collina per fare l'ultima visita alla famosa tomba etrusca (Sepolcro dei Volumi) che si trova alla distanza di qualche chilometro nella valle, e fu scoperta nel 1840.

Campi di grano cosparsi di vecchi olivi cavernosi, una villa tutta in fiori, un affresco quasi cancellato dal tempo sul muro di una fattoria, la tortuosa strada maestra, una fabbrica di mattoni, le contadine che danno indicazioni sulla strada.

Accanto al passaggio a livello, c'e' una piccola casetta che, in sostanza, ha la funzione soltanto di tetto della sotterranea abitazione di una famiglia etrusca. Una tradizione recente dice che un bue inciampo' in una tomba mentre il contadino arava; il contadino, scavando, raggiunse un ingresso chiuso da una pietra, cosi' fu scoperta la tomba.

Essa e' semplice. Alla profondita' di alcune decine di gradini, nella collina rocciosa, sopra il portale su cui e' cresciuta un'efflorescenza verde, non brilla il sole di pietra incisovi in mezzo a due delfini. Qui c'e' odore d'umidita' e di terra. Alla luce delle lampadine elettriche che ardono anche qui, cominciano a rivelarsi leggermente le volte grigie di una decina di camere di media grandezza e le figure degli appartenenti a una numerosa famiglia di Volumi, scolpite orizzontalmente sui coperchi dei sarcofaghi.

I "muti testimoni" di ventidue secoli giacciono qui straordinariamente tranquilli…

…Questo e' l'eterno problema, non soltanto di Perugina, ma anche dell' "Augusta Perusia", quale era al tempo di Augusto, e ancora piu' profondamente di Perugia fortezza del lucumone. Nella citta non e' rimasto quasi nessun ricordo di questa epoca, ad eccezione dei resti di un grosso muro e del piano inferiore formato da pietre rozze a mala pena tagliate, sopra le quali Augusto aveva eretto un pesante arco romano, e il Rinascimento aggiunse una leggera coroncina di pianta pensile sospesa ad un'altezza che da' il capogiro.

Nella casa dei Volumni, si ritorna alla realta' soltanto quando sopra la testa si sente il rombo del treno che passa. Si esce alla luce del giorno accecati, come dalle tenebre dell'inferno, portando con se' la conferma che anche la piu' luminosa delle citta' italiane sta sotto il segno del sanguinario grifo. Se qui si ripetesse la storia, di nuovo scorrerebbe il sangue. Ma qui non ci sara' piu niente, oltre ai nuovi alberghi, e nel migliore dei casi, ai commoventi mantelli e gesti di Garibaldi e di Vittorio Emanuele, che invano imitano una vita che ha ormai fatto il suo tempo e tace.

Qui la vita non tornera'. La piazza ghiaiosa con la veduta sull'azzurra Umbria non dara' rifugio a nessun altro che a turisti, mendicanti e mercantesse. Il pacifico lavoro dei campi e il flebile coro d'una compagnia d'operette che impara il suo repertorio dietro le finestre di una rimessa teatrale. Si', i "testimoni muti" possono dormire tranquilli: per lungo tempo nessuno li svegliera'.

Aleksandr Blok, Molnii iskusstva, in Sobranie socinenij, Mosca-Leningrado, 1962. In: Ettore Lo Gatto, Russi in Italia. Roma, Editori Riuniti, 1971.


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