Differenza tra Roma e Napoli

Io credo che, se dappertutto ci fosse una tale aria, un tale clima e una tale natura, sarebbero assai meno i santi e assai piu' numerosi i peccatori felici e spensierati. Dal punto di vista religioso, non si puo' ammettere che gli uomini vivano su questa terra lussuriosa, e chi ci dice che le tenaci preghiere dei primi cristiani non abbiano contribuito all'eruzione del Vesuvio per cui andarono in rovina Pompei ed Ercolano? In realta' qui, nella tiepida molle aria vulcanica, il respiro, la vita sono volutta', godimento, qualcosa che indebolisce, qualcosa di passionale. Il piu' forte degli uomini diventa qui un Sansone a cui siano stati tagliati i capelli, pronto a qualsiasi allettamento e incapace di qualsiasi azione. Guai se per di piu' qualcuno dimostri che appunto l'allettamento e' la vita, e le azioni sono sciocchezze e che non occorre agire…Il passaggio dalla natura di Roma a quella napoletana e' cosi' sorprendente, cosi' aspro, che desidero dire qualcosa sul nostro piccolo viaggio di trasferimento. La triste campagna romana coi suoi acquedotti e le sue montagne azzurrine che si perdono all'orizzonte, cede il posto alle ancor piu' tristi paludi pontine: tutti si sforzano di evitarle per paura della malaria; il terreno umido di questi campi bagnati trasuda febbri estenuanti e di difficile cura; perfino le greggi si fanno piu' rade.

E nello stesso tempo, le citta' gravi e abbandonate di Velletri e Albano, nei loro pressi, sorprendono con la loro popolazione: e' il fiore della stirpe romana, ogni donna e' il tipo della bellezza regolare, classica, ogni uomo puo' servire da modello per un artista, e quale grazia nei movimenti, nelle pose, quali proporzioni armoniche!...lasciata Roma, la contrada selvatica continua sino a Terracina. La piccola citta' e' cupa, il Mediterraneo inquietamente batte alle sue antiche porte; una roccia enorme e del tutto solitaria sta al suo ingresso. Su questa roccia visse una volta un valoroso condottiero, intorno al quale il popolo racconta oggi delle leggende; intorno ad essa, ancora di recente, vivevano folle di banditi, annientate da Leone XII. La roccia magnificamente chiude i domini papali; e' il punto, messo dopo le rovine di Terracina, la Campagna e le Paludi. Oltre la roccia comincia una natura allegra, ridente, del tutto diversa; la popolazione e' assai meno bella, ma si muove di piu', e piu' chiassosa: cominciano a mostrarsi i tratti selvatici dei lazzaroni e le maniere servizievoli della plebe napoletana; l'aspetto serio e superbo del contadino, del povero, del pastore della campagna cede il posto all'espressione beffarda e ai movimenti di pulcinella; al posto della bellezza solenne, regolare, della donna romana, che incute rispetto, si incontrano sguardi sfrontati, provocanti; una graziosa mobilita', tratti irregolari che ispirano sentimenti per nulla simili al rispetto.

Nella popolazione napoletana c'e' qualcosa di faunesco e di priapico; qui nessuno neppure sospetta l'invenzione tedesca dell'amore platonico. Tutta questa differenza di due paesi, di due nature, di due popolazioni, voi la vedete al loro stesso confino, andando da Terracina a Gaeta. Questa asprezza di confini, questa precisazione di carattere, questa naturale personalita' in tutto: monti, pianure, paesi, citta', vegetazione, popolazione di ogni piccola cittadina, e' uno dei tratti principali, una delle caratteristiche dell'Italia. L'indeterminatezza dei colori, dei caratteri, i sogni nebulosi che fondono i limiti, i tratti che svaniscono, i desideri oscuri - tutto cio' appartiene al nord. In Italia tutto e' determinato, chiaro, ogni zolla di terra, ogni piccola citta ha la sua fisionomia, ogni passione il suo scopo, ogni ora la sua luce, l'ombra e' come tagliata col coltello dalla luce; se c'e' una nuvola, e' buio fino all'angoscia, se brilla il sole, riversa oro su tutti gli oggetti, e l'anima si rallegra. Quale enorme differenza nel carattere del Piemonte e Genova, del Piemonte e della Lombardia; la Toscana non somiglia per nulla all'Italia settentrionale ne' alla meridionale; il passaggio da Livorno a Civitavechia non e' meno aspro del passaggio da Terracina a Fondi. Livorno ribolle di gente; citta' chiassosa, di opposizione, attiva e mercantile, esprime la fiorente e alquanto rilasciata Toscana, come una fortezza vuota, disabitata con alte antiche mura che il mare bagna malvolentieri, esprime la non mercantile, cupa, monastica Roma.

Ma la piu' aspra contrapposizione, la piu' brusca antitesi e' data da Roma e Napoli; esse sono cosi diverse fra loro, come una rigida e maestosa matrona lo e' da una petulante e spensierata etera, come la Roma dei tempi delle guerre puniche dalla Roma dei tempi di Tiberio e di Nerone che cercava per simpatia il cielo napoletano. Roma ricorda l'instabilita' delle cose, il passato, la morte, l'eterno memento mori; Napoli ricorda l'inebriante fascino del presente, la vita, il carpe diem. Roma, come una vedova, e' fedele al passato, non si stacca dal cimitero, non dimentica il perduto, le sue rovine le sono piu' necessarie del Quirinale. Napoli e' fedele al godimento, al presente, e' invasa dal demonio e danza su Ercolano, cioe' su di una bara; il fumante Vesuvio le ricorda che e' necessario sfruttare la vita fino a che ci e' data.


Herzen Aleksandr Ivanovic, Lettere dalla Francia e dall'Italia. Napoli, 25 febbraio 1848. In: Ettore Lo Gatto, Russi in Italia. Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 191-192.


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