"Suonare non e' un atto di dimostrazione, ne' un momento di spettacolo, e' un modo di essere, di sognare, una ragione di vita..."

 

Il concerto che Roberto Giordano ha dato a Lucca due anni fa mi ha colpito così tanto che, quando siamo tornati a casa, ci ho scritto su un articolo. La sua esibizione mi aveva ricordato i grandi musicisti classici russi, e ho scoperto poi che questo non era un caso perché Roberto si è formato proprio con la scuola pianistica russa.

Qualche giorno dopo la pubblicazione del mio articolo ho ricevuto una stupenda lettera di ringraziamento da sua moglie Emanuela. Sono rimasta veramente stupita da questo gesto, cosi' toccante. Grazie al destino, a Emanuela e alla mia passione per la musica classica, questa volta ho finalmente conosciuto di persona uno dei miei pianisti italiani preferiti, Roberto Giordano.

Nella vita, non sono tanti gli incontri davvero memorabili. Roberto e' una di quelle persone la cui conoscenza arricchisce la vita. Felici e fortunati sono tutti coloro che possono godere della sua compagnia ogni giorno. Oltre ad essere un musicista di grande talento e' una persona il cui mondo interiore e' così ricco che rende ogni sua esibizione un evento per il pubblico. Giordano e' un'artista che non da' molta importanza a se stesso nella musica, ma mette al primo posto proprio la musica e la regala al suo pubblico con tutto l'amore e la passione che lui prova per essa.

Registrando questa intervista, naturalmente, abbiamo parlato molto di musica, della sua vita e di cultura in generale. Per tutti e due questa conversazione e' stata molto interessante e piacevole. Giordano e' una persona estremamente intelligente, semplice e simpatica.

Per me, nel riportare questa intervista, era abbastanza difficile essere breve, da "brava giornalista", ho quindi preferito presentarvi la versione completa, registrata il giorno dopo il suo concerto, sempre a Lucca, nel giugno 2014. Abbiamo parlato per quasi due ore e sono volate in un istante. Vedrete che tutto quello che ha detto Roberto, oltre ad essere interessante, e' anche importante e fa riflettere.

Proprio grazie alle persone come Roberto Giordano c'e' ancora la speranza di vedere un giorno un nuovo rinascimento culturale senza il quale nessuno di noi ha alcun futuro. E oramai posso dire che sono felice e onorata di essere sua amica. E' stato un piacere immenso passare insieme una giornata intera in sua compagnia.

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Marina: Come ti sei avvicinato alla musica?

Roberto: Ho cominciato per gioco. Mia madre aveva studiato pianoforte da piccola. Nella casa di mia nonna, che abitava sotto casa nostra, c'era un pianoforte americano molto malandato. Loro erano vissuti in America e poi erano tornati in Italia. All'epoca, la scuola era solo di mattina. Io riuscivo a fare i compiti a casa abbastanza velocemente e dalle tre del pomeriggio fino a sera avevo tutto il tempo libero. Un giorno mia madre mi ha chiesto: "Roberto vorresti suonare il pianoforte oppure cantare in un coro?" Ero gia' un po' "musicale", e lei l'aveva capito. Ho scelto il pianoforte perche' mi dava un senso di completezza, di indipendenza da tutto. Non dovevo avere accompagnatori. Soprattutto, ero uno strumento che era completo come un'orchestra. Ci potevo fare qualsiasi cosa, io da solo. Cosi', verso i sei-sette anni, ho cominciato a studiare con la mia mamma. A otto ho iniziato a prendere le lezioni da un'altra persona che aveva studiato in conservatorio. Da 11 a 16 anni ho studiato in Conservatorio, dai 14 in poi a Parigi. Poi, da esterno, mi sono diplomato a Pesaro con la lode e la menzione ad honorem.

Marina: Per te era facile studiare?

Roberto: Si', tantissimo.

Marina: Lo facevi con piacere?

Roberto: All'inizio lo prendevo come un gioco tra i giochi. Studiavo il pianoforte e poi andavo a giocare con gli amici. Poi, dagli 11 anni, e' stata proprio la mia vita. Appena finivo la scuola andavo subito a casa e mi mettevo al pianoforte.

Marina: Non ti sforzavi?

Roberto: No, non ho mai pensato "devo studiare tre, quattro, cinque ore". Ero li' e suonavo. Potevo stare al pianoforte l'intera giornata.

Marina: Secondo te, e' merito dei tuoi genitori? Per un bambino piccolo e' difficile stare concentrato per molto tempo o avere un amore cosi' profondo.

Roberto: I miei genitori hanno dei meriti grandissimi. Tutto il mio percorso lo devo a loro, che mi hanno fatto avvicinare alla musica e mi hanno accompagnato.

Questo attaccamento allo strumento, pero', credo sia qualcosa di innato. "Innato" vuol dire che l'hai gia' in te prima di rendertene conto. E' una sorta di passione che ti lega fortemente a questo strumento e alla musica. E quindi non puoi crearlo dal nulla: o ce l'hai o non ce l'hai.

E' un attaccamento che io ho scoperto subito, verso il pianoforte e verso la musica. Tanto e' vero che i pezzi che studiavo li imparavo abbastanza velocemente. Poi addirittura componevo e suonavo musiche mie. Dagli 11 anni in poi e' stato veramente un accelerando incredibile. Le lezioni, le cose nuove, il repertorio nuovo mi hanno portato a crescere velocemente. Dagli 11 ai 14 anni ho lavorato tantissimo, e poi dai 18 fino ai 23 ancora di piu', perche' c'e' stato il perfezionamento a Imola.

Marina: Quanti anni hai studiato a Imola?

Roberto: A Imola ho studiato 7 anni. L'Accademia Musicale di Imola e' molto particolare. Quell'anno c'e' stata una selezione tremenda: eravamo in 60 e ne hanno preso solo due. Per entrare bisognava fare un esame.

Poi quando cominciavi a vincere i concorsi, a suonare, se volevi rimanere e continuare a studiare, potevi farlo. Non dovevi diplomarti.

Io ho ottenuto il mio master nel 2007.

Marina: E poi chi ha deciso che tu partecipassi al famoso Concorso "Regina Elisabetta" in Belgio? E' stato unico o ce ne sono stati altri?

Roberto: L'ho deciso io, ma prima c'e' stato anche il "Concorso Pianistico Internazionale Ferruccio Busoni".

Mi ricordo che avevo deciso di andare a questo concorso, ma all'Accademia di Imola non mi prendevano molto sul serio perche' ero appena entrato ed ero giovane. Gli altri partecipanti ci studiavano da anni. I miei docenti non credevano molto in me, ma mi hanno detto lo stesso: "Si', fallo". Praticamente ho preparato questo concorso da solo. In finale eravamo solo io e Alexandr Romanovsky. Suonavo una Sonata di Rachmaninov e ne ho dimenticato un pezzo. Non immaginavo di arrivare alla finale solistica per cui non avevo studiato molto bene questa prova, che durava un'ora. Il premio l'hanno vinto solo i primi sei ed io sono arrivato settimo a causa di questo incidente durante la finale.

Quell'anno, il concorso l'ha vinto Alexandr Romanovsky.

Gia' li', a Imola, hanno detto: "Ma questo chi e'? E' arrivato adesso, ha voluto fare il concorso ed e' arrivato settimo eliminando tutti i nostri senatori".

Quell'anno ho preso la decisione di fare il "Busoni" anche l'anno successivo, ma di prepararlo bene.

Il "Busoni" dell'anno dopo si svolgeva in due anni. Un anno facevi la prima parte del concorso. Quelli che arrivavano in finale poi suonavano al "Festival Busoni" e poi, l'anno dopo, facevano la finale.

Io ho fatto il concorso, sono arrivato in finale, ho suonato al festival, dopodiche' avrei dovuto suonare l'anno successivo, nell'agosto del 2003, per la finale. Pero', nel frattempo, a maggio c'e' stato il "Concorso Regina Elisabetta del Belgio".

E, pure per il Concorso Regina Elisabetta, i miei insegnanti hanno detto: "Si', vai. Pero' sai... c'e' di nuovo Alexandr Romanovsky". E poi c'erano tutti i grandi vincitori del Concorso Pianistico Internazionale di Santander, e di quello di Tchaikovsky. Durante la semifinale sono stati eliminati Alexandr Romanovsky, Jue Wang del Santander e tutti quelli di Imola. Nella finale, dei candidati europei siamo rimasti solo io e Severin Von Eckardstein. Tutti gli altri venivano dall'Asia, dall'America, dalla Russia. E, di nuovo, a Imola hanno detto: "Oddio, ma questo chi e'?"

Questo concorso, per me, e' stata un'incredibile prova di forza di volonta'. Volevo farlo gia' nel 1998, prima di andare a Imola, ma poi mi sono reso conto che era troppo importante. Allora, dal 1998 al 2003, ho preparato il Regina Elisabetta, per cui facevo tutti i concorsi e tutti i concerti studiando il repertorio che poi avrei presentato in Belgio.

Quando poi ho fatto la prima prova del Concorso Elisabetta mi sono detto: "Adesso che sei sul palco, suona come un vincitore: devi suonare come se tu arrivassi nei primi 6". Io sapevo che in questo concorso non era importante vincere il primo premio. Pero' volevo assolutamente un premio dal 2 al 6 posto.

Il Regina Elisabetta e' durato quasi 40 giorni. E' stato molto duro. A livello di nervi e' stato veramente distruttivo. Il quarto e' stato proprio il premio giusto per me.

Marina: Secondo te, e' importante partecipare ai concorsi? Cosa ti ha dato questa esperienza?

Roberto: Quel concorso e' stato molto importante: il cambiamento della mia vita artistica e' avvenuto proprio li'. Pero' bisogna saper sfruttare l'occasione.

Nella mia mente era comunque tutto chiaro. Sapevo di non volere il primo premio perche' il vincitore subiva delle pressioni molto forti e, spesso, all'inizio della carriera troppe pressioni ti possono distruggere. E non volevo neppure la vita del vincitore del "Regina Elisabetta". Volevo avere un premio da sfruttare per costruire il mio futuro. Questa era precisamente la mia volonta'. E, una volta avuto il quarto premio, sapevo che dovevo iniziare a lavorare in maniera diversa.

Poi, la cosa fondamentale di questo concorso e' che e' seguito in tutto il mondo, da tutti gli organizzatori, da tutte le persone importanti. E cosi' e' successo che io ho ottenuto quasi piu' proposte di concerti del primo premio. Subito dopo, ho avuto recital a Istanbul, in Cina, negli Stati Uniti, in Giappone. Ho cominciato ad avere concerti molto importanti quasi ogni giorno.

Ad un certo punto pero', tra tutti questi concerti e gli inviti, mi sono ricordato che volevo anche costruire il mio futuro.

Molte volte ho detto anche di no. Ho rifiutato proposte molto importanti e non l'ho fatto solo perche' il repertorio non mi piaceva, o perche' avrei dovuto studiare una cosa che non andava. E' che spesso il tempo era poco, avrei suonato male e la gente se ne sarebbe accorta e lo avrebbe scritto, e quindi avrei avuto cattiva pubblicita'. Ho detto "no" addirittura all'orchestra di Santa Cecilia con Georges Prêtre, perche' volevano un "Concerto in Fa" di George Gershwin, ma a me Gershwin non piace. Quelle sono occasioni che, se vanno bene diventi famoso, ma se vanno male ti distruggi da solo.

 

 

Marina: Come hai fatto a essere cosi' giovane e cosi' saggio? Spesso agli artisti giovani e' molto difficile dire di no a proposte interessanti, soprattutto quando le ricevano presto anche se non sono ancora abbastanza preparati.

Roberto: Ho preso a modello l'esperienza di altri. Ho semplicemente visto come erano andate le cose ad altre persone e mi sono detto: "No, non devo fare cosi'". Poi ho seguito i consigli di altri, anche di grandi maestri di canto, di Jose Van Dam ad esempio. Ho spesso visto dei cantanti del Regina Elisabetta che hanno rotto la voce perche' hanno accettato tutto, tutti i ruoli, anche quelli che non erano per loro. Io sapevo da prima che sarebbe andato cosi'.

Sai, quando ho avuto un periodo senza concerti, mi sono chiesto: "Ho fatto bene? Diventero' davvero un grande pianista? Non lo so. Chissa'..." Questo e' sempre stato un mio grande dubbio, ma la regola principale che mi sono dato fin da piccolo e' stata questa: se faro' bene, se suonero' bene e se raggiungero' sempre il top della qualita', sicuramente non passero' inosservato! Qualcuno mi dira': "Bene!" Qualcuno verra' ai miei concerti solo per ascoltarmi e per dire: "Tu suoni bene, mi piace"! Almeno uno, due, qualcuno ci sara' in un pubblico che dira': "Bravo! Per me e' stato fantastico! Mi sono commosso". Ci sara' sempre qualcuno che apprezzera' e sentira' quello che ho da dire.

E' stato cosi' anche nel concorso.

Al concorso mi sono detto: "Devo fare questo concorso come un concerto". Il pubblico li' e' sempre stato fantastico con me. Ho voluto coinvolgerlo solo con la musica senza creare un "personaggio" con i capelli strani o vestito di rosso. Al primo posto c'e'sempre stata la musica. Herbert Von Karajan ripeteva spesso una cosa a Jose Van Dam che poi lui diceva a me: "Voi pensate a suonare bene che poi, quando vi pagano, sara' ancora piu' bello". E questa e' una spiegazione molto chiara di quello che deve essere il musicista. Oggi, purtroppo, non e' cosi'. Oggi si pensa prima di tutto al successo, ai soldi, all'immagine e poi dopo, forse, alla musica. Questa sarebbe la regola principale: non servirsi della musica ma servire la musica. Ma il problema non e' dei musicisti, ma delle persone, degli agenti, della pubblicita', del marketing che c'e' dietro. E quello e' un grosso problema perche' i musicisti, ormai, sono diventati uomini di spettacolo. Lo erano anche prima, pero' allora la musica veniva prima di tutto.

Marina: Ma questo e' un problema solo di questo Paese o succede anche all'estero?

Roberto: Il maggior problema dell'Italia e' la confusione. Il resto del problema e' globale. Ti rendi conto che personaggi come Lang Lang sono showmen, non sono musicisti. Inizialmente sono bravissimi musicisti poi, pero', diventano altro. Io ho conosciuto Lang Lang quando era ragazzino. Suonava benissimo, con grande semplicita', grande facilita', con raffinatezza. Ma poi devi diventare per forza qualcos'altro perche' il pubblico e' sempre affamato di novita', di stranezze. Io credo che a volte i pubblicitari, lo star system, vogliano guidare il pubblico verso qualcosa che e' lontano dalla musica. Una volta si vendeva un pianista perche' era il piu' grande. Ad esempio tu vendevi Horowitz per quello che ascoltavi da Horowitz, non per come si vestiva. Sapevi che era un grande maestro e lo rispettavi come grande maestro di musica, non solo come persona famosa. C'erano valori diversi. Io purtroppo dovevo nascere forse 50 anni fa.

Marina: Secondo te perche' e' successo cosi'? All'opera stessa ci propongono dei cosiddetti spettacoli "moderni" che spesso sono orribili e di cattivo gusto. La qualita' e l'arte non sono piu' al primo posto.

Roberto: Questo e' successo a causa di due mezzi di comunicazione: televisione e Internet. Se non ci fossero state queste due cose, oggi avremmo ancora il pubblico e i concertisti di 50 anni fa ma con un linguaggio nuovo, molto piu' interessante. E' quello che io cerco sempre di fare, ogni giorno. Non e' che suono come si suonava 50 anni fa, ma come un uomo di oggi dovrebbe suonare. Quindi mi sento molto attuale, non un vecchio. Pero' questi 2 mezzi di comunicazione hanno abituato il pubblico a qualcosa di meno faticoso, di piu' facile. Il pubblico non e' qualcosa di passivo, che sta qui, ascolta e basta. E' un insieme di persone che deve fare uno sforzo per capire, per farsi capire, per farsi conquistare anche dalla musica. Invece oggi Internet e la televisione ci hanno abituato ad un pubblico passivo, che riceve facilmente e non da', e che vuole essere sempre conquistato da qualcosa di nuovo.

Marina: C'e' una soluzione per cambiare la situazione, per far crescere un pubblico che pensa?

Roberto: E' molto difficile. Pero' il pubblico non e' tutto cosi'. Ci sono ancora persone come te che vanno ai concerti per farsi conquistare, per ascoltare in maniera interessata, per capire. Quindi una parte di pubblico c'e'. Purtroppo io sto parlando di un pubblico molto piu' ristretto di una volta. Ad esempio il pubblico di Lang Lang raramente viene a un mio concerto.

La soluzione purtroppo non credo che sara' nell'immediato. Secondo me, dovranno passare tanti anni, si dovra' esaurire questo mercato e capire che ormai non si puo' piu' fare niente di nuovo e che occorre ritornare un po' a come prima. E' un'evoluzione per cui ci vogliono anni. Sicuramente, nemmeno io non ci saro' piu' quando ci sara' questo nuovo ciclo. Perche' tutto e' ciclico in questo mondo. Come lo e' stato nella musica classica.

Marina: Il programma dei tuoi concerti, chi lo sceglie?

Roberto: In genere sono io a scegliere.

I programmi mi piace costruirli a livello tematico: i pezzi hanno sempre una relazione tra di loro e c'e' un discorso che il pubblico e' tenuto a seguire durante il concerto. Poi ci sono degli organizzatori che ti propongono dei pezzi interessanti e tu dici: "Si', mi interessa, lo facciamo".

Succede che anch'io propongo certe opere musicali, se le vedo adatte a questo evento musicale. E poi ci sono quelli che vogliono invece le opere musicali che interessano a loro e se tu vieni, devi fare proprio quelle. In questo caso non e' piu' importante chi suona ma e' importante l'originalita' del programma. Cosi' non mi piace. Con i festival poi ci sono spesso dei compromessi: a volte ti lasciano maggiore liberta', altre volte ti chiedono delle cose ben precise.

Marina: Quanto tempo ci vuole per imparare un programma? Dipende dal programma?

Roberto: Dipende dal programma, da alcuni pezzi. Magari ce li hai gia' in repertorio e li metti insieme agli altri nuovi. Poi non e' detto che in pubblico vadano bene. A volte studi qualcosa che, una volta proposto al pubblico, mostra dei difetti: in quel caso bisogna rafforzare i punti deboli, devi stare attento e, via via, man mano che suoni, studi anche in questo modo. In questo senso e' come se ci fossero due tipi di studio, il brano stesso e poi il brano per il pubblico.

Marina: Certi spettatori di Formula-1 pensano che il successo di una squadra dipenda solo dal pilota. Invece non e' cosi'. La vittoria e' il risultato del lavoro di tutti: dagli ingegneri ai meccanici. Molto dipende dalla macchina. In un certo senso il successo del concerto dipende anche dal pianoforte. I pianisti non possono portare con loro i loro strumenti come i violinisti o i violoncellisti, e devono abituarsi sempre ad uno strumento diverso. E' difficile?

Roberto: Si', e' molto difficile. Tutti i pianisti sono abituati a prendere confidenza con lo strumento, e ogni strumento e' molto diverso dagli altri. Se il pianoforte e' di livello, lo abitui subito e ci puoi fare veramente tutto. Ho suonato su un centinaio di strumenti bellissimi. In questo caso basta un'ora, e tu sai che con quello strumento puoi rendere molto di piu'. Rendere nel senso anche timbrico, sonoro. Prendiamo lo strumento di ieri sera, ad esempio [il concerto a Lucca il 12 giugno, ndr]. Il concerto e' andato bene, tutti sono stati contenti, ma sarebbe andato meglio se ci fosse stato un altro pianoforte. Chiaro che non potendo fare 2 concerti su 2 pianoforti il pubblico non si rende conto della differenza. Se tu mi ascolti in un altro concerto con un altro strumento di livello ti rendi conto di quante cose sono mancate ieri sera, non a livello tecnico ma soprattutto timbrico. Per suonare con lo strumento di ieri sera ho dovuto fare molta piu' fatica, perche' e' uno strumento squillante, che ha poco suono e ha poche possibilita' di creare un bel suono. Ha il doppio scappamento che non risponde bene. Quindi i pezzi veloci sono molto difficili. Devi stare molto attento, esercitare maggiore controllo. In questo caso tutto diventa molto piu' faticoso. Grazie all'abitudine ai concerti e' piu' facile abituarsi allo strumento di livello che a uno strumento cosi', che non e' neanche da concerto.

Marina: Tra i tuoi concerti, qual e' stato il piu' memorabile?

Roberto: I piu' memorabili sono stati quello alla Scala e quello al teatro Hermitage di San Pietroburgo. Il concerto a San Pietroburgo e' stato molto particolare anche perche' quel teatro e' costruito all'italiana da Italiani. Assomiglia al teatro Olimpico di Vicenza, solo un po' piu' piccolo.

Sono appassionato di cultura russa, di scuola e tecnica russa, ed e' stato veramente fantastico suonare per il vostro pubblico con l'orchestra russa diretta da Vasily Petrenko. E' stato un successo pazzesco. Il vostro pubblico e' calorosissimo e molto competente.

Alla Scala ho suonato a 25 anni con Jose Van Dam. Suonare la' a quell'eta' non e' stato facile. In quel concerto Jose ha voluto fare il Winterreise di Franz Schubert, che e' un ciclo di 24 Lieder per voce e pianoforte. E' pesantissimo ed e' difficilissimo: un'ora e mezzo senza pause.

Jose infatti diceva sempre: noi siamo in due. Anche sul manifesto eravamo tutti e due. E' stato molto bello a 25 anni. Ed anche li' e' stato un successo veramente pazzesco. Questa sala meravigliosa era pienissima e dopo il concerto tutti si sono alzati in piedi, per lui e forse un po' anche per me.

Marina: Hai suonato In Italia, in Francia, in Russia, in Belgio, in Cina, in Giappone, negli Stati Uniti etc. Il pubblico nei diversi Paesi e' diverso? Com'e'?

Roberto: Si', e' sempre diverso. I piu' sorprendenti sono stati il pubblico cinese e quello giapponese.

La prima volta che ho suonato in Giappone facevo tutti gli studi di Chopin. C'erano 3 pianoforti tra cui scegliere, con tre tecnici. Qualche volta ho avuto questa bella esperienza. Ho scelto il pianoforte perfetto, fantastico. Ricordo la sala pienissima. Ero per la prima volta in Giappone, non mi conosceva nessuno. Ho fatto questo concerto e non volava una mosca: non ho sentito un rumore di piedi, o di una carta. Quando e' finito il concerto, dalla prima fila ho sentito un grido pazzesco. Mi sono spaventato perche' per un'ora in sala c'era stato un silenzio incredibile. Poi a un certo punto in questo silenzio ho sentito all'improvviso: BRAVO!! Prima dell'applauso, una voce sola ha fatto questo grido e poi l'hanno ripreso tutti insieme. Io pensavo di essere davanti a un pubblico molto freddo, invece e' stato un boato pazzesco, seguito da tanti bis. E poi il pubblico giapponese e' anche molto competente.

In Cina invece mi ha stupito una cosa incredibile. Sono pazzi per gli Italiani. La sala dove suonavo era ancora piu' grande di quella giapponese
ed era pienissima. Era la prima volta che suonavo in Cina. Appena sono uscito sul palco, tutti hanno a cominciato a gridare: "Bravooooo!" Ma io non avevo fatto ancora niente! Sembrava un applauso alla fine del concerto. Sono rimasto un po' disorientato. E poi per tutti i concerti e' stato cosi'. Tutti gridavano.

Il pubblico cinese e' davvero molto attento e le autorita' ci investono tantissimo, sensibilizzano le famiglie a portare i bambini ai concerti.
Magari e' un po' piu' rumoroso pero' e' coltivato. In Cina si costruiscono 40 sale da concerto all'anno. C'e' tanta pubblicita': venite ai concerti! E ci vanno tanti giovani, tante persone anziane, tantissime famiglie. Li' stanno indovinando la strategia giusta per far venire la gente ai concerti. Ma in certe citta' sono anche molto nazionalistici. Ad esempio a Shiyan abbiamo suonato io e un pianista cinese. Con me il pubblico era molto freddo, invece il cinese e' stato accolto molto bene. Invece a Pechino, a Shanghai il pubblico e' sempre bello.

Marina: E il pubblico russo com'e'?

Roberto: Ho suonato davanti al pubblico russo una volta sola e ne ho un bellissimo ricordo. E' un pubblico molto competente e caloroso ed e' un calore non gratuito. E' un pubblico che ti stima perche' ti sei meritato la stima: hai suonato bene e sei riuscito a coinvolgerlo. Questo mi e' piaciuto molto.

I Russi hanno una tradizione musicale molto importante. Ricordo il racconto di una persona che era in sala quando Benedetti Michelangeli ha suonato in Russia per la prima volta. Il pubblico era andato ad ascoltarlo con i cioccolatini [come andare al cinema con i popcorn, ndr.] pensando: "Vediamo questo Italiano".

Sono italiano ma lo dico con molta franchezza e l'ho sempre detto: i musicisti italiani erano niente confronto ai russi. La scuola italiana era meno profonda di quella russa. Se prendi i grandi maestri italiani, Casella, Vitale, Longo hanno commesso non pochi disastri a livello pedagogico e anche filologico, nella scoperta dei nuovi repertori (Scarlatti, Galuppi) e nella revisione dei grandi compositori.

Quando dico questo in Italia mi guardano come un matto. Per esempio, se tu guardi la revisione di Casella del "Clavicembalo ben temperato" di Bach, quella fatta per l'edizione Ricordi, osserva cosa aggiunge sulle note: legature, "piano", "forte", "affrettando", pedale. Questo vuol dire non conoscere affatto Bach, non conoscere gli strumenti su cui Bach suonava, non conoscere lo stile in cui Bach voleva che queste opere si suonassero. Per esempio, se ascolti il mio Bach, all'inizio ti trovi disorientata. No so se ti piace. Lo stesso succede anche quando ascolti Bach suonato da G. Gould. Non subito ti piace, pero' capisci che la sua ricerca e' nella stessa direzione di quella di Bach, nello stesso stile.

Se prendi il manoscritto originale vedi solo le note perche' lo stile era quello, lo stile lo dava la musica stessa. Nella versione di Casella vedi "allegro", metronomo, legatura, pedale, "staccato", "legato", "piano", "forte". Sono tutte cose aggiunte su una musica che e' gia' perfetta cosi', che funziona gia' cosi' com'e'.

I russi non hanno fatto questo. Gli italiani erano abituati a suonare cosi', la scuola italiana di musica era molto molto limitata.

Forse e' piu' chiaro parlandone in termini di prospettiva. La prospettiva italiana era piatta, a due dimensioni, la prospettiva russa, invece e' sempre stata estremamente profonda. Quando ascolto un pianista come V. Horowitz e' come se il suo discorso musicale avesse due voci allo stesso tempo, una piu' vicina e una piu' lontana. E' una ricchezza prospettica simile a quella di una piramide. Lo stesso discorso musicale e' organizzato in maniera molto diversa. Questa e' la scuola russa. E quindi quando Benedetti Michelangeli e' andato in Russia tutti sono andati a teatro con i cioccolatini. Io mi aspettavo la stessa diffidenza da parte del pubblico russo. Invece e' stata bellissima esperienza.

Marina: Ti sei formato con la scuola russa perche' hai avuto un insegnante russo?

Roberto: Era gia' predisposto. La mia prima insegnante di conservatorio, a 11 anni, mi ha dato una tecnica preparatoria che era quasi quella del metodo russo: c'era la scioltezza del braccio, l'attivita' delle dita. Poi dai 18 anni in poi sono stato formato veramente con la scuola russa. E' stata una formazione durissima. Pero' credo che le regole che mi sono state date siano davvero talmente forti e talmente solide che posso probabilmente fare qualunque cosa. Con la scuola russa si puo' fare tutto. Non ha limiti.

Marina: Secondo te esiste ancora la scuola pianistica russa?

Roberto: Secondo me, non c'e' piu' una scuola russa, in senso nazionale. Perche' ormai ci sono Russi che insegnano in Giappone, ci sono Italiani che hanno fatto la scuola russa e che insegnano in Italia. Certo che ci sono dei grandi maestri che stanno portando avanti ancora adesso questo tipo di formazione.

Marina: Nel tuo repertorio ci sono musiche russe?

Roberto: Si, tantissime.

Marina: Le musiche di quali compositori russi suoni?

Roberto: Ho un grandissimo amore per Sergej Rachmaninov e Sergej Prokof'ev. Secondo me Prokof'ev e' stato il genio insuperato della musica del Novecento. Credo Prokof'ev sia anche al di sopra di Shostakovic perche' e' veramente stato un grandissimo genio, ma soprattutto un grandissimo musicista e un insuperabile pianista. Conosceva benissimo il pianoforte e l'ha utilizzato in maniera straordinaria. E' lui che ha raggiunto i limiti dello strumento, non Rachmaninov. Se tu prendi il secondo concerto di Prokof'ev vedi che e' molto piu' difficile del terzo di Rachmaninov. E' per questo che il terzo lo fanno tutti e il secondo di Prokof'ev no. E' tremendamente difficile. Tecnicamente e' quasi impossibile ma a livello di organizzazione musicale e' talmente grandioso e potente! Ho suonato tantissimo Prokof'ev e Rachmaninov. Conosco bene le musiche di Skrjabin. Una decina di volte ho suonato anche il primo concerto di Ciajkovskij.

Marina: Tra le opere musicali, quali sono quelle che vorresti suonare ma non l'hai ancora fatto?

Roberto: Il secondo concerto di Brahms. Ma mi sono detto che lo faro' solo dopo i 40 anni. Secondo me bisogna aver vissuto di piu' per fare questo concerto e poi bisogna avere una tempra, una esperienza da concertista diversa. Lo puo' fare anche un giovane, ma cosa dice con questo concerto? Niente.

Marina: Tu vai ai concerti come ascoltatore, segui altri musicisti?

Roberto: In genere li seguo a distanza se c'e' un concerto in diretta alla radio. Ai concerti non vado spesso perche' gia' faccio una vita complicata. Quando ho un po' di tempo, o sono in Calabria, e li' in questo momento i concerti non ci sono, o sono in Belgio e sto lavorando. Pero' in genere mi piace molto ascoltare. Purtroppo non vado molto volentieri ai concerti per pianoforte, non perche' io non stimi i miei colleghi ma forse perche' mi sento troppo partecipe. Ho paura di rimanere deluso da quello che sento. Casomai vado ad ascoltare pianisti che mi danno una certezza, come Grigorij Sokolov. Quando e' possibile vado ad ascoltare anche artisti come Daniil Trifonov o Boris Berezovskij, oppure Pierre Laurent Aimard, Alexander Lonquich. Questi sono i musicisti della nuova generazione che conosco e vado ad ascoltare molto volentieri. Per il resto a me piace molto la musica sinfonica e l'opera. Appena possibile, vado sempre ad ascoltarla.

Marina: Io penso che la professione di pianista sia una delle piu' difficili. Bisogna avere tanta forza fisica e anche quella psicologica e mentale. Ogni esibizione e' uno stress incredibile. Devi imparare molto a memoria e certi concerti sono molto difficili. Fai sport per tenerti in forma?

Roberto: Quanto ho tempo, vado a correre, uno sport che mi permette di uscire fuori. La corsa mi piace tantissimo perche' e' un po' come un concerto. Quando corri c'e' un momento in cui il fisico ti dice "Basta, non correre piu'. Finiscila!" Invece c'e' una sfida tra te e il fisico che dice che devi continuare, devi arrivare a quel chilometro anche se non ce la fai piu'. Mentalmente lo sport preparara molto a questo, e aiuta molto anche il lavoro del cervello: ovvero come ingannare il cervello, come programmare la tua fatica, come economizzare la tua fatica, la tua energia. Questo mi aiuta sempre anche a livello dello strumento.

Pero', credo che il mestiere del pianista sia il piu' difficile tra quello dei musicisti per una ragione precisa, che non e' spesso valutata, ovvero la solitudine. Il pianista e' molto solo. E' molto solo sul palco e anche prima del concerto, perche' e' davanti al momento in cui deve mettersi in discussione anche se e' conosciuto. Ecco perche' alcuni grandi pianisti talvolta non reggono questo peso: sei da solo e da solo devi dimostrare che sei sempre tu, che hai le tue idee, che sai ancora suonare.

Anche se le condizioni non sono le migliori devi dimostrare di essere un musicista valido. Alcune sfide sono davvero disumane: ricordare tutto a memoria, e soprattutto dare una visione interessante a migliaia di persone che stanno li' a studiarti, e' disumano. Sicuramente ti metti davanti a te stesso e la solitudine e' molto forte. Alcune volte ti chiedi perche' stai facendo questo mestiere. E poi alla fine, dopo l'applauso, capisci il perche'.

Marina: Come ti prepari per il concerto? Cosa fai nel giorno della esibizione o qualche ora prima ?

Roberto: La giornata prima del concerto e' molto semplice. La mattina studio, quando e' possibile. Poi pranzo in maniera abbastanza abbondante, soprattutto pasta. Dopo, se riesco, vado a dormire anche 2-3 ore. Poi mi vesto in tenuta da concerto, vengo in sala due ore prima e faccio un concerto intero. Poi aspetto che il pubblico arrivi e rifaccio il concerto.

Marina: Ed e' sempre uguale, non importa il concerto?

Roberto: La giornata e' sempre cosi'.

Marina: E dopo?

Roberto: Dopo il concerto in genere mi rilasso con gli amici, vado a mangiare qualcosa. Il giorno dopo e' quello piu' interessante. Piu' il concerto e' stato difficile, piu' e' stato un successo, piu' il giorno dopo c'e' un calo nella tensione emotiva. Adesso, con l'eta', e' un po' meno forte, ma mi ricordo che, ancora 5-6 anni fa, il giorno dopo sentivo quasi una depressione. Ero triste, giu', anche mentalmente. Avevo anche pensieri negativi. Questa curva di depressione era perche' il concerto era finito, era stato un grande successo ma era comunque finito. E quindi io ero solo come prima. Tutti vanno via e ti lasciano di nuovo da solo. Adesso, con gli anni e con l'esperienza, lo sento molto meno. Pero' il giorno dopo ti devi proprio rilassare. Oggi sono stato molto contento di essere con te e Ilia, perche' mi sono veramente rilassato, ero in giro e cosi' nel pomeriggio potro' studiare con calma.

Marina: A casa suoni nelle feste in famiglia?

Roberto: No, io a casa studio come studiava Bach: tutto aperto, rumori, mia mamma che qualche volta passa, mia figlia Letizia che piange, mia moglie Emanuela che parla al telefono. Io studio. La musica sta sempre in casa ma non c'e' un momento ufficiale in cui suono per la famiglia.

Marina: Dopo la nascita di tua figlia Letizia e' cambiato qualcosa nella tua maniera di suonare? Vedi la vita in modo diverso?

Roberto: La nascita di Letizia per me e' stata l'emozione piu' bella e particolare della mia vita. Non c'e' un'altra emozione che possa essere comparata a questa. Non solo perche' e' stata la piu' grande, ma anche perche' e' stata molto particolare, unica direi. Quando ho visto questo faccino che e' uscito fuori sono rimasto talmente spiazzato, sorpreso da questo miracolo della vita. Non e' un emozione terrena. E' come quando avviene un miracolo e tu dici: "Oddio! Ma e' possibile?" E' chiaro che questo cambia totalmente il tuo modo di vivere, di pensare. Il musicista e' un bagaglio di emozioni, che ha vissuto e che deve mettere in relazione con la musica, perche' la musica e' emozione. E' chiaro che un evento come la nascita di un figlio ti rende ancora piu' ricco, tanto tanto piu' ricco. Oltre al fatto che ti cambia il modo di pensare su tutte le cose, dalla vita alla morte. Qualsiasi cosa ti appare sotto un'altra luce. Questo e' veramente straordinario.

Marina: Quando hai tempo libero cosa ti piace fare?

Roberto: Mi piace stare con la famiglia e scrivere.

Marina: Scrivere cosa?

Roberto: Purtroppo lo faccio pochissimo. Scrivo e poi distruggo tutto. Non mi piace mai quello che ho scritto. Da ragazzino avevo iniziato dei romanzi che poi ho trovato talmente stupidi che li ho buttati. Pero' adesso sto scrivendo un saggio su Theodor Leschetizky e contemporaneamente anche qualcos'altro. Non so se vedranno mai la luce e saranno mai pubblicati. Quello su Leschetizky e' molto organico perche' si basa su documenti, su considerazioni, sullo studio di tanti pianisti ed e' piu' "facile" da scrivere. L'altro testo invece no. E' un libro scritto da un musicista, da un pianista, che vuole spiegare tante cose: la musica come la vede lui, come si suona il pianoforte; non come si abbassa il tasto ovviamente ma cosa e' il suono, cosa e' la musica. Ci sono tante riflessioni. E non so francamente se riusciro' un giorno a finirlo. Parlo anche di come si avvicinano gli allievi, con quali concezioni sbagliate spesso la gente si avvicina alla musica o al pianoforte.

Sul mio sito (http://www.robertogiordano.org) c'e' una frase: "Suonare non e' un atto di dimostrazione, ne' un momento di spettacolo, e' un modo di essere, di sognare, una ragione di vita. Suonare e' la condivisione di un'arte assoluta e sempre nascente come la Musica, attraverso un mezzo fatto di materia densa e vivente: il suono".

Il suono e' fatto di una materia che e' vivente, che e' quasi materia tangibile e puo' essere toccata. Non e' soltanto il prodotto dell'abbassare un tasto. E' vivente come un essere umano, come un cantante. E questa e' una differenza che si puo' sentire da un pianista all'altro e ci sono pochi pianisti che oggi che ce l'hanno. Grigorij Sokolov, ad esempio, ce l'ha. La prima cosa che diceva Theodor Leschetizky era: "Fate cantare il pianoforte!" Voleva dire create un suono, create un suono messo in relazione con un altro suono perche' il pianoforte e' a percussione e non puo' creare una serie fluida di suoni, invece il pianista si', lo puo' fare.

Anche questo e' una parte del mio pianismo, della mia scuola, ed e' qualcosa che oggi magari e' fermo ad un certo punto ma che io sto cercando di evolvere.

Marina: Hai un sogno? Forse e' collegato con il tuo lavoro?

Roberto: Io ho tantissimi sogni: sogni nel cassetto, sogni da realizzare. Tanti sogni li ha gia' realizzati. Anche il cantiere musicale che abbiamo ora in Calabria e' stato un sogno. Il mio sogno e' semplicemente quello di vivere questa vita in maniera piena. Vorrei vedere pubblicato un mio libro, forse un giorno lo sara'. Diciamo che i sogni piu' importante li ho gia' realizzati: essere un musicista, avere una famiglia cosi' come quella che ho, avere una figlia.

Questo e' stato un sogno davvero realizzato. Ci pensavo da tanto tempo. Ricordo una volta di aver avuto un volo molto difficile. L'aereo quasi ha avuto un incidente perche' si era rotto il sistema idraulico ed eravamo gia' molto in alto. Poi siamo riusciti ad atterrare, ma in quel momento la mia prima preoccupazione e' stata: "Cosa lascio? Non lascio niente. Ho ancora tante cose da dire anche attraverso la musica. Almeno vorrei che ci fosse un figlio che mi conoscesse". E poi in realta', quando e' nata Letizia, e' cambiato proprio questo: non e' cosa lasci la cosa piu' importante, ma il fatto di educare qualcuno con i tuoi principi. La cosa piu' bella, oltre al fatto di lasciare qualcosa, e' vedere una persona che e' cosi' legata a te, che ti sorride quando torni dai viaggi. Questo e' bellissimo! Ripaga di tutti i sacrifici.

Marina: Piu' ti parlo e piu' capisco che sei una persona estremamente particolare. Ricordo ancora oggi le emozioni forti che abbiamo provato al tuo concerto a Lucca due anni fa. E oggi vedo davanti a me non solo un grande musicista ma anche una persona fantastica con cui si puo' parlare ore e ore proprio di tutto. Una persona importante ma cosi' semplice. E' una cosa talmente rara!

Roberto: Sai, gli artisti veramente importanti, veramente grandi, che ho conosciuto erano di una semplicita' unica. Alcuni mi hanno detto: "Ricordati di prendere la musica seriamente ma non prendere seriamente te stesso. Non ti prendere sul serio perche' tu devi servire la musica e non devi servirti dalla musica". E' quello che diceva sempre Herbert Von Karajan a Jose' van Dam e lui lo diceva a me. E' chiaro che non c'e' ragione di darsi delle arie, di pensare di essere importanti perche' poi, quando arrivi sul palco, devi sempre stare giu', devi mostrare che sei sempre tu e, anche se hai un nome grandissimo, devi sempre fare bene. Altrimenti ti mettono sotto subito. Devi sempre dimostrare di far bene musica, altrimenti non importa nulla se anche sei famosissimo.

Marina Nikolaeva/Lucca, giugno 2014

 
 
 
 

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