Bella Achmadulina (1937- 2010) |
Crepuscoli
Nei crepuscoli è libertà beata dalle cifre nette di giorno ed anno ed epoca. Non ha importanza quando. la via al profondo è spalancata, e alla lingua del fuoco.
Non nella guazza che sazia trasecola d’infiorescenze e neppure nei tronchi degli alberi riempiti dall’amore, ci son prove di questo nostro secolo. Prendine un altro e vivi.
Per smarrimento dell’animo, per pecca della vista, io sono ritornata a errare nei viali del passato. Come riconoscendomi, una vecchia in disparte mi osserva.
E’ giorno alto e questo luogo è morto. Ma nei crepuscoli gli occhi son liberi di vedere una casa, ov’è felice una famiglia, dove s’aman con trasporto spropositatamente,
dove attendono sempre ospiti nuovi ai compleanni, per rumoreggiare, arrossire, far baciamani, dove anche me invita una mano, ma dove mai ospite sarò.
Ma se le loro voci tutte guizzi posson farsi quiete d’onde e cielo, di chi sono i fanciulli cinguettanti sopra i tasti del piano? Di chi i pizzi ruotan nella sventura?
Ma quando mai concessero la grazia del saluto ch’è loro, di quel lento dagli uomini orchestrato antico valzer, antico segno d’un’altrui mestizia, e d’un amore altrui?
E’ ancora possibile condurre giochi per la mente e l’udito, dove agiscan fiume, albero, vecchia, campo vuoto, il paese con tre lumini opachi. Il sorriso indistinto
dell’anima mi va errando là, lontano, dov’è assenza di memoria, nella contrada ch’è patria di errore, di quello strano error che mi darà estranea lingua e terra.
Ma il senno, per la tenebra in terrore, ringhia, ritorna in sé, vuol risapere il disegno distinto delle cose che son vive, il mio giorno, le mie ore, il mio tavolo, il letto.
Io vago ancora in un turbine mobile di rugiade, ma sento l’anatema che m’invia nel suo barbaro linguaggio, serrato dentro un pugno irremovibile, un transistor…
(trad. di G. Buttafava) |
da: La pioggia
Tutto il giorno la pioggia non mi lascia “Vattene!” io le dico rozzamente; fa quattro passi indietro, poi, devota, mesta mi segue come una bambina. Come un’ala, la Pioggia alla mia schiena sè incollata. “Vergognati!”, le dico; “l’ortolano t’invoca lacrimando, corri dai fiori! Che hai trovato in me?” Intanto in giro regna un’afa cupa; dimenticando ogni altra cosa al mondo, la Pioggia è qui con me, mentre d’intorno mi danzan i bambini, quasi fossi la macchina per innaffiare i prati. M’infilo in un caffè, dentro una nicchia. Alla finestra, come un accattone, mi aspetta. Ed all’uscita mi castiga con uno schiaffo umido sul viso; ma subito la Pioggia audace e triste mi lascia sulle labbra un bacio fresco, che ha il profumo del cucciolo bagnato. Son buffa col mio fradicio scialletto Legato al collo, mentre sulla spalla Siede la Pioggia come una bertuccia e la città si turba; con un dito mi solletica un lobo. Tutto è secco. Io sola son bagnata fino all’ossa.
(trad. di G. Buttafava) |
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