Osip Mandel'stam (1891-1938)

Conchiglia

Notte, forse di me non hai bisogno;
dalla voragine dell’universo
io, conchiglia senza perle, sono
gettato sulla tua proda, riverso.

Con noncuranza fai schiumare i flutti
e riottosamente vai cantando;
ma la bugia d’una conchiglia inutile
ti sarà oggetto d’amore e di vanto.

Verrai a giacerle accanto sulla sabbia,
e a ricoprirla della tua pianeta;
a renderla, verrai, inseparabile
dall’enorme campana degli abissi irrequieti;

e il vano della fragile conchiglia –
nido di un cuore ove nessuno alloggia –
ricolmerai di schiuma che bisbiglia,
ricolmerai di nebbia, vento e pioggia…

(trad. di R. Faccani)

…L’ardire di fanciulle notturne

…L’ardire di fanciulle notturne,
la folle rincorsa delle stelle,
e il vagabondo che ti toglie il fiato
chiedendo soldi per il dormitorio.

Chi, ditemi, m’intorbida
di uva la coscienza,
se non è sogno la città di Pietro,
e il Cavaliere di Bronzo, e il granito?

Sento segnali dalla fortezza,
m’accorgo che fa caldo.
Lo sparo dei cannoni è penetrato,
credo, fin dentro i sotterranei.

E molto più profondo del delirio
della testa infiammata
sono le stelle, i lucidi discorsi,
il vento d’ovest dalla Neva.

   (trad. di S. Vitale)                                                        

Tristia

Ho imparato la scienza degli addii
nel piangere notturno, a testa nuda.
Ruminano i buoi, dura l’attesa,
ultima ora di veglie cittadine,
ed io rispetto il rito della notte dei galli
quando, sollevato il fardello doloroso del viaggio,
guardavano lontano occhi di pianto
e il lamento delle donne accompagnava il canto delle muse.

Chi può sapere che congedo attende
nella parola addio,
cosa ci predice il clamore dei galli
quando il fuoco arde sull’acropoli
e perché all’alba di una nuova vita,
quando nel fieno rumina pigro il bue,
il gallo araldo della nuova vita
sulle mura della città sbatte le ali?

E io amo i gesti quotidiani della tessitura:
la spola ordisce, il fuso ronza,
e già, peluria di cigno,
la scalza Delia vola incontro!
Meschino ordito della nostra vita,
come è povera la lingua della gioia!
Tutto è già stato, tutto si ripete,
attimo dolce è solo il riconoscere.

E così sia: una diafana figurina
sul semplice piatto d’argilla,
come una pelle appiattita di scoiattolo;
china sopra la cera una ragazza guarda.
Non sta a noi divinare il greco Erebo,
per le donne la cera è come il rame per gli uomini.
Noi solo in battaglia ci colpisce il fato,
a loro è dato morire divinando.

(trad. di S. Vitale)                                               

Col mondo del potere non ho avuto che vincoli puerili

Col mondo del potere non ho avuto che vincoli puerili:
temevo le ostriche, e alle guardie lanciavo occhiate di sottecchi;
nemmeno d’una briciola d’anima gli sono debitore
benché a lungo sulle immagini altrui mi sia accanito.

Aggrottandomi con sciocco sussiego in una mitra di castoro
non sono stato sotto il portico egizio della banca,
e sulla Neva di limone, al fruscio di cento rubli
per me mai, mai la zingara ha danzato.

Fiutando supplizi futuri, dal mugghiare di eventi sediziosi
mi rifugiavo dalle Nereidi del Mar Nero;
e le bellezze d’allora, le tenere europee,
quanta pena, dispetto e dolore m’han dato!

E allora, perché questa città continua a imporsi
ai miei pensieri e sentimenti secondo l’uso antico?
Resa sfrontata dagli incendi e i geli
è arrogante, maledetta, vacua, giovanile!

Forse perché bambino ho visto su un quadretto
Lady Godiva con la rossiccia chioma sciolta
dico ancora a me stesso sottovoce:
Lady Godiva, addio…Godiva, non ricordo.

                                                (trad. di S. Vitale)
 

Non ci sentiamo il paese sotto i piedi

Non ci sentiamo il paese sotto i piedi,
a dieci passi di distanza non si sentono le voci,

e ovunque ci sia spazio per un mezzo discorso
salta sempre fuori il montanaro del Cremino.

Le sue dita dure sono grasse come vermi,
le sue parole esatte come fili a piombo.

Ammiccano nel riso i suoi baffetti da scarafaggio,
brillano i suoi stivali.

Ha intorno una marmaglia di ducetti dagli esili colli
E si diletta dei servigi di mezzi umini.

Chi miaglola, chi stride, chi guaisce
Se lui solo apre bocca o alza il dito.

Forgia un decreto dopo l’altro come ferri di cavallo:
e a chi lo dà nell’inguine, a chi fra gli occhi, sulla fronte o sul muso.

Ogni morte è una fragola per la bocca
Di lui, osseta dalle larghe spalle.

                                                (trad. di S. Vitale)
 

Per l’alto valore dei secoli a venire

Per l’alto valore dei secoli a venire,
per la nobile stirpe umana ho rinunciato
anche ad alzare il calice al banchetto dei padri
e alla letizia e al mio stesso onore.

Mi incalza alle spalle il secolo-canelupo,
ma non ho sangue di lupo nelle vene;
ficcami piuttosto come un cappello nella manica
della calda pelliccia delle steppe siberiane,

che io non veda il vigliacco, né il gracile lerciume,
né le ossa insanguinate sulla ruota,
e per me tutta notte brillino volpi azzurre
nella loro bellezza primigenia.

Portami via nella notte, dove scorre l’Enisej
e il pino si slancia a toccare la stella,
perché nelle mie vene non c’è sangue di lupo
e soltanto un mio pari potrà uccidermi.

                                                ( trad. di S. Vitale)

Sono ancora lontano dall’essere patriarca

Sono ancora lontano dall’essere patriarca,
ho ancora un’età solo a mezzo ossequiata,
ancora c’è chi mi insulta sul muso
nel linguaggio degli alterchi sui tram
in cui non c’è senso né coda:
“Pezzo di…” – d’accordo, chiedo scusa,
ma dentro non mi sposto di un centimetro…

Quando pensi cosa ti lega al mondo
stenti a crederci: un niente,
la chiave notturna d’una casa altrui,
un soldino d’argento in tasca,
la furtiva celluloide di un film…

Come un cagnolino mi getto sul telefono
ad ogni squillo isterico
per sentire il polacco “Dzenkie, pane”,
il tenero rimprovero di una città lontana
o una promessa non mantenuta.

Continui a sperare: a cosa prender gusto
in mezzo a razzi e petardi?
Ti infiammi – e là, guarda, non resta
che baraonda e disoccupazione:
coraggio, va’ a chiedergli del fuoco!

Ora sorrido, ora mi do un contegno
e vado a passeggio col mio bastone biondo.
Ascolto le sonate nei vicoli,
mi lecco i baffi ad ogni bancarella,
sfoglio libri in androni fatiscenti
-non vivo, ma in qualche modo tiro avanti.

Andrò dai passeri, andrò dai reporters,
andrò dai fotografi ambulanti,
e in cinque minuti, come un colpo di cazzuola,
avrò la mia figura
sotto il cono violaceo del monte Sach.

Oppure mi farò assumere tra i galoppini
nelle cantine afose, ammollite dal vapore,
dove puliti e onesti cinesini
acchiappano con le bacchette pallottole di pasta,
giocano con strette carte filettate
e devono vodka, rondini dello Jan-Tse.

Amo le corse dei tram cinguettanti
e il caviale astrachano dell’asfalto,
rivestito di stuoie di paglia
come i fiaschi di vino d’Asti,
e le piume di struzzo delle armature nei cantieri
delle case di Lenin.

Entro nei meravigliosi teatrini dei musei
dove Rembrandt scheletrici si gonfiano
fino alla lucentezza della pelle di Cordova;
ammiro le mitre cornute di Tiziano
e lo screziato Tintoretto ammiro
per i suoi mille pappagalli striduli…

E quanta voglia ho di lasciarmi andare,
di fare un po’di chiacchiere, di dire la verità,
di mandare lo spleen alla nebbia, al diavolo, alla forca,
di prendere qualcuno per mano e: Sii gentile,
dirgli, visto che andiamo per la stessa strada…

                                                            (trad. di S. Vitale)
 

Privandomi del mare, dello spazio per la corsa e il volo

Privandomi del mare, dello spazio per la corsa e il volo,
dando alla mia orma il supporto di una terra forzata,
cosa avete ottenuto? Calcolo brillante:
non siete riusciti a estirpare le labbra che si muovono.

                                                (trad. di S. Vitale)


Informazioni | Interessante | Cultura e sport russi | Foto album | Viaggi | Feste in Russia | FAQ | Su di me e su di voi | Diario italiano | Guest Book

Ritorna a "Amoit Home Page"

Copyright © 2004-2024 Amoit