Brodskij Iosif Aleksandrovic, 1940 - 1996

Brodskij Iosif Aleksandrovic nacque a Leningrado il 24 maggio 1940. Abbandono' la scuola a 15 anni, studiando da autodidatta.
Pubblico' le prime poesie su riviste clandestine
(samizdat) e fu subito apprezzato e sostenuto, specialmente da Anna Achmatova.
Il suo anticonformismo divenne presto oggetto dell'attenzione della polizia, tanto da sfociare nel 1964 in un processo nel quale fu condannato a cinque anni di lavori forzati. Liberato a seguito delle pressioni dell'opinione pubblica internazionale, nel 1972 fu invitato a richiedere un visto per l'espatrio.
Parti' dalla Russia il 4 giugno di quell'anno per non farvi piu' ritorno, neppure dopo la riabilitazione avvenuta nel 1989.
Si stabili' negli Stati Uniti, acquisendone la cittadinanza nel 1977. Qui lavoro' come docente universitario e pubblico' versi che lo imposero come una delle voci piu' raffinate della poesia russa. Adotto' la lingua inglese per la sua attivita' di saggista e traduttore.
Nel 1987 ricevette il Premio Nobel per la letteratura.
Appassionato dell'Italia e della lingua italiana,
"la lingua prima della poesia", trascorse ogni anno a Venezia le sue vacanze e questa citta' divenne oggetto di alcune delle sue poesie e prose meglio riuscite. A Venezia, sua "personale forma di Paradiso", "citta' di acqua e canali come la sua Leningrado", volle essere sepolto alla sua morte, avvenuta il 28 gennaio 1996.
Nei suoi versi (
Fine di una splendida epoca del 1977, Una parte del discorso, del 1977, Urania del 1978), Brodskij riprende e rinnova la ricchezza linguistica della lingua russa.
L'esilio non inaridi' le fonti della sua ispirazione, facendo anzi della solitudine e della lontananza dalla patria i temi dominanti della sua poetica, che nei versi assurgono a simbolo della condizione umana, sapientemente trattati nel gioco della creazione verbale.

Ruggiero Mascolo, 5/2005

Ischia ad ottobre

A Fausto Malcovati

Una volta qui ribolliva un vulcano.
Poi fu un pellicano a bucarsi il petto.
Non lontano viveva Virgilio,
Auden ci beveva vino a fiumi.

Oggi lo stucco si scrosta dai palazzi,
prezzi e conti non son piu' quelli di una volta.
Ma io faccio quadrare in qualche modo
i miei versi svolgendo un'appannata "r".

Il pescatore s'inoltra nell'oltremarino
via dalle coperte stese sul balcone,
l'autunno sferza i colli con un mare diverso
da quello che la deserta spiaggia frusta.

Dalla balaustra mia moglie e la mia bambina
guardano lontano, adocchiando il pianoforte
di una vela o un pallone aerostatico -
colpo smorzato di campana.

All'isola come variante del fato,
impensabile come bilancio del cammino,
si addice soltanto lo scirocco. Ma
neppure a noi e' vietato

sbattere le imposte. E la corrente
che sparpaglia le carte e' il segno
- sbrigati a voltarti! -
che qui non siamo soli.

Il guscio tenuto insieme con la calce,
che salva dall'impeto della fronte,
del sale, del vetusto martelletto,
rivela tre tuorli all'imbrunire.

Attorcendo i monogrammi delle buganvillee,
con il loro alfabeto mascherando
la sua vergogna, l'esigua terra
si vendica dello spazio con il verde.

Persone - poche, e sentendo "tu"
si induriscono i tratti, quasi
il linguaggio, a guisa di lente,
separasse il paesaggio dai volti.

E piu' volentieri che verso il continente,
nel sentire "a casa" la mano tende il dito
in direzione della montagna
dove crollano e crescono mondi.

Siamo qui in tre, e scommetto
che quanto vediamo insieme e' tre volte
piu' senza fissa dimora e piu' azzurro
di cio' a cui Enea guardava.

1993

Iosif Brodskij, Poesie italiane. Milano, Adelphi, 1996. Traduzione di Serena Vitali.

Procida

Baia sperduta; non piu' di venti barche a vela.
Reti, parenti dei lenzuoli, stese ad asciugare.
Tramonto. I vecchi guardano la partita al bar.
La cala azzurra prova a farsi turchina.

Un gabbiano artiglia l'orizzonte prima
che si rapprenda. Dopo le otto e' deserto
il lungomare. Il blu irrompe nel confine
oltre il quale prende fuoco una stella.

Josif Brodskij, Poesie italiane. Milano, Adelphi, 1996. Traduzione di Serena Vitale.

Strofe veneziane, 2, VIII
...
Scrivo questi versi, seduto all'aperto su una sedia bianca,
d'inverno, con la sola giacca addosso,
dopo molti bicchieri, allargando gli zigomi
con frasi in madrelingua.
Nella tazza si raffredda il caffe.
Sciaborda la laguna, punendo con cento minimi sprazzi
la torbida pupilla con l'ansia di fissare nel ricordo
questo paesaggio, capace di fare a meno di me.

1982

Josif Brodskij, Poesie italiane. Milano, Adelphi, 1996. Traduzione di Giovanni Buttafava.

Dicembre a Firenze

Uscendo, quello non si volto' a guardare…
Anna Achmatova

I

Le porte aspirano aria, espirano vapore; ma
non tornerai qui, dove divisa in coppie
la popolazione passeggia sull'Arno sgonfio
simile a una nuova specie di quadrupedi. Le porte
sbattono, escono bestie sull'asfalto.
C'e' davvero qualcosa della foresta nell'atmosfera
di questa citta'. E' una citta' bella, dove
a una certa eta' semplicemente distogli lo sguardo
dalla gente e cali la visiera.

II

Sbattendo le palpebre, affondando nell'umido crepuscolo,
l'occhio ingoia i lampioni come pillole per la memoria; e
il tuo portone a due minuti dalla Signoria allude
sordamente, secoli dopo, alla ragione dell'esilio: accanto
al vulcano non si puo' vivere senza mostrare il pugno,
ma non puoi neanche aprirlo, quel pugno, morendo,
perche' la morte e' sempre una seconda Firenze
con l'architettura del Paradiso.

III

A mezzogiorno i gatti sbirciano sotto le panchine per controllare
se sono nere le ombre. Su Ponte Vecchio - lo hanno restaurato -
dove contro uno sfondo di colline azzurre s'imbusta Cellini,
c'e' baldanzoso commercio di chincaglieria d'ogni sorta;
le onde ripassano ramo, gorgogliando, dopo ramo.
E le ciocche dorate di una bella donna che si china cercando
qualcosa di raro, che fruga in mezzo alle scatole
sotto gli sguardi non sazi di giovani venditrici,
sembrano traccia dell'angelo nel regno dei corvini.

IV

L'uomo si trasforma in fruscio di penna sulla carta, anelli,
occhielli, cunei di lettere e, poiche' il foglio e' scivoloso,
in virgole e punti. Pensare solo quante volte
scoprendo una "v" in una parola mediocre
la penna e' inciampata e ha disegnato rondinelle!
Ossia: l'inchiostro e' piu' onesto del sangue,
e un volto al buio con le parole fuori - Dio sa
quanto piu' in fretta si asciugano gli umori! -
ride come carta spiegazzata.

V

I lungarni ricordano un treno impietrito di stupore.
Le case si levano dalla terra visibili solo fino alla cintola.
Tuffandosi nell'umida bocca di un portone, il corpo
nel soprabito sale a piccoli passi lungo piatti,
decrepiti e sbrecciati denti verso l'infiammata volta
del palato, con il suo scabro e sempre uguale "16".
Spaventoso per afonia, il campanello partorisce infine
un cigolante: "Prego, toglietevi il cappotto";
nell'ingresso vi accerchiano due vecchi "8".

VI

Dentro il caffe' polveroso, nella penombra del berretto
l'occhio si abitua alle ninfe del soffitto, ad amorini, stucchi;
nella gabbia, avvertendo penuria di terzine,
un vecchio cardellino esegue i suoi gorgheggi.
Il raggio di sole che si spacca sul palazzo,
sulla cupola della chiesa dove Lorenzo giace,
s'infila attraverso le tende e scalda le vene
del marmo sporco, il fiore di verbena, e canta
il cardellino nella sua Ravenna di ferro battuto.

VII

Espirando vapori, aspirando aria, le porte
sbattono a Firenze. Che tu viva una o due vite
(dipende dalla fede), nella prima di sera
ti rendi conto: non e' vero che l'amore
muove le stelle (la Luna a maggior ragione)
giacche' divide per due ogni cosa: anche il denaro
in sogno. Nel tempo libero perfino i pensieri
sulla morte. Se le stelle del Sud fossero da amore
mosse, sarebbe per scostarsi - l'una via dall'altra.

VIII

Il nido di pietra e' annunciato dallo stridio sonoro
dei freni; attraversi la strada con il rischio
d'essere stra(m/p)azzato a morte. Nel basso cielo di dicembre
il gigantesco uovo del Brunelleschi
spreme una lacrima nella pupilla incallita
al bagliore delle cupole. Il vigile all'incrocio
tiene le braccia a "v", altoparlanti
strepitano dei prezzi rincarati. La parola "vita"
si fa vuota - ineluttabilita' dei dittonghi!

IX

Esistono citta' a cui non c'e' ritorno. Il sole batte
alle loro finestre come su specchi levigati. Cioe'
non puoi penetrarci nemmeno a prezzo d'oro, la'
il fiume scorre sempre sotto i sei ponti.
La' esistono luoghi dove hai baciato labbra
con le labbra, e con la penna i fogli. La teoria di archi,
colonne, spaventapasseri di ghisa, abbarbaglia gli occhi;
la folla che assedia l'angolo dei tram la' parla
nella lingua di chi e' partito.

1976

Josif Brodskij, Poesie italiane. Milano, Adelphi, 1996. Traduzione di Serena Vitale.


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