Viaggio ad Arkhangelsk
Una folla maldisposta aspetta. La stazione Jaroslavskij
è un fiume umano all'aperto, vestito in grigio e silenzioso, sovraccarico
di cose al seguito, tante da sembrare tutto quello che ognuno possiede.
Poco più in là altre due stazioni completano l'architettura
del sistema ferroviario moscovita. La Leningradskij e la Kazanskij agli
altri lati della Komsomolskaja Ploshchad servono le tratte che vanno a
San Pietroburgo e Kazan. L'annuncio dell'arrivo del treno per Arcangelo
corrisponde a un movimento di massa lungo la banchina, poi tutto finisce
inghiottito dai vagoni, consumati dagli anni ma ancora dignitosamente
saldi sui binari. "Tutti in carrozza", sembra una presa in giro
ma c'è poco da scherzare. Per sfidare il grande nord, quando i
mezzi su strada non possono farcela, il treno rimane il mezzo più
sicuro, anche perchè gli aeroplani della compagnia di bandiera
Aeroflot accusano sui voli interni una preoccupante tabella di incidenti.
Quando il treno lascia la Jaroslavskij si ha una sensazione di distaccamento.
Dalla civiltà verso l'ignoto, almeno così la pensano i moscoviti.
Le cuccette sono comode. Quattro per uno scompartimento ampio a sufficienza.
Con 11 rubli si affittano lenzuola e federa e una strigliata per non aver
rispettato il divieto di fumare. Per i fumatori c'è un luogo angusto
alla fine di ogni vagone, senza finestre, buio e rumoroso, impregnato
dell'odore di migliaia di sigarette prima delle nostre. L'assistente al
vagone è un'austera cinquantenne in uniforme blu della "sludzba",
il servizio d'ordine nei pubblici servizi. Precisa nelle pratiche amministrative
ma senza pietà verso chi non si dimostra a proprio agio col cirillico.
Per sua fortuna, ma soprattutto di chi viaggia, i turisti per caso da
queste parti sono più che rari. La notte in treno è come
una cavalcata in diligenza. I binari sono sconnessi e i vagoni saltano
in abbondanza. I buio è totale. Si percepiscono a malapena le barricate
di conifere e betulle ai lati della ferrovia. Solo verso l'alba la foresta
si alterna a distese verdi e acquitrinose. C'è un enorme silenzio,
un silenzio imposto da chilometri e chilometri di solitudine, di completa
assenza umana. Di tanto in tanto si aprono inspiegabilmente dei villaggi
di quindici o venti case in legno. Una banchina accanto alla ferrovia
ospita quanti osservano il transito del treno in arrivo dalla capitale.
Vita dura e pochi comfort. Appena la corrente elettrica, almeno per quei
villaggi vicino alla linea ferroviaria. Per il resto ben poco, a parte
tanta legna per scaldarsi. Salendo a nord i centri abitati aumentano.
La vita intorno al treno si anima e sbucano alcune auto: Lada, Volga,
ma non solo, Volswaghen, Audi si notano non fosse altro perché
il traffico è comunque piuttosto scarso. Poi degli autobus, pesantemente
vecchi e ammaccati, dai profili arrotondati anni sessanta, senza il cofano
davanti per far respirare il motore. La stazione di Arcangelo è
un capannone in mattone bianco. Due vecchie litigano nell'indifferenza
generale per accaparrarsi le bottiglie di vetro lasciate dai viaggiatori.
La città è antica, la fonda Ivan il Terribile nel 1571.
In epoca zarista non è molto più di un villaggio di pescatori
e commercianti, ma è durante il periodo sovietico che diventa un
luogo strategico. Fra Arcangelo e Murmansk, circa mille chilometri più
a nord, sulla penisola di Kola, si costruiscono i sommergibili e le rompighiaccio
a propulsione nucleare. In pochi anni la città si sviluppa attorno
all'industria militare e diventa assieme alla vicina Severodvinsk un nucleo
urbano di quasi un milione di abitanti abbarbicato sul 65° parallelo.
Più a nord solo Murmansk, sul 69° parallelo, ampiamente oltre
il circolo polare artico, il più grande centro a nord del mondo,
mezzo milione di persone sul mare di Barents, anticamera del perenne ghiacciolo
artico. La struttura urbana di Arcangelo è semplice. Il fiume Dvina
forma un delta che spacca il territorio in tante isole di varie dimensioni.
La terraferma si incunea sul complesso di isole disegnando un'ampia insenatura.
Su questa insenatura si sviluppa la città, cioè un sistema
viario semplice con tre arterie principali che la dividono in altrettante
parti. La zona costiera è pulita e tranquilla. I russi passeggiano
e si godono gli ultimi giorni d'estate. Con ottobre arriva il freddo,
con novembre la neve e insieme l'incubo dell'acqua calda, che passi che
d'estate non c'è, ma d'inverno non può mancare, laddove
la temperatura scende a meno trenta con punte di meno quaranta. Dalla
costa, risalendo in città, i palazzi municipali delimitano la piazza
centrale dove campeggia ancora una statua di Lenin. "Piazza Lenin",
non poteva essere altrimenti, pur nell'indifferenza generale, è
già qualcosa che sia rimasto al suo posto, considerando che a poche
ore di battello, nelle isole Solovetskij, adesso che la democrazia è
arrivata, si possono ammirare alcuni fra i più terrificanti gulag
stalinisti. Di notte Arcangelo è buia. L'illuminazione pubblica
è ridotta al minimo, più o meno come doveva essere ogni
città sovietica venti o trenta anni fa. Eppure la vita non manca.
La "night fever" è allo Snejok, 45 rubli per entrare
(3500 lire) e 20 per una vodka (1500 lire). La tecno spacca i timpani
e i giovani si divertono. Dicono bene di Arcangelo se non facesse così
freddo. Lo Snejok è alla moda e non ha nulla da invidiare ai più
moderni club moscoviti. In realtà negozi e magazzini sono ben forniti,
contrariamente a quanto credono nella capitale, dove quando si parla dell'altra
Russia, ossia quella diversa da Mosca e San Pietroburgo, la tendenza prevalente
è di pensare a un mondo travolto dalla carestia e in condizioni
di semi civiltà. Ma la Russia è grande. Un paese sconfinato
che non si finisce mai di vedere e di capire. E' la grande madre di un
popolo costantemente in lotta, in eterna transizione, ancor oggi rivoluzionario
più di settant'anni fa. Arcangelo all'indecifrabilità russa
aggiunge un po' di suo, un punto vivo su una carta geografica sconfinata. |
Copyright © 2004-2024 Amoit |