Le cerimonie funebri del Medioevo russo

Qual è la concezione della fine della vita nella mitologia slava? E qual è quella della vita? Esiste la speranza (o il diritto) di allungare la vita terrena attraverso pratiche o pozioni magiche?
Sono domande molto difficili che non trovano un’adeguata risposta nei documenti.
Secondo i ricercatori non russi, la morte è un viaggio senza ritorno, un sonno senza risveglio, un cambio di identità senza possibilità di appello. Che cosa muore? Solo il corpo oppure anche tutto quello che il morto ha detto e ha fatto svanisce per sempre? Che cosa resta di lui?
La mitologia slava orientale vedeva nella morte la fine del tempo assegnato dal Creatore al corpo sin dal momento della nascita (il rok) e la restituzione del corpo alla Madre Umida Terra. Infatti basta lasciare il cadavere sulla nuda terra per vederlo disfarsi e ritornare ad essere polvere e sassi. Se tutti gli altri esseri viventi rinascono dalla terra in un ciclo perenne, ma diverso per ogni creatura, perché mai non dovrebbe essere lo stesso per l’uomo? Il Creatore poi gli dà l’anima… L’anima, questa strana essenza aerea che di certo esisteva, proveniva dal mondo celeste. Quando un uomo moriva una stella cadeva poiché nella concezione slava dell’universo il Creatore chiudeva per sempre quel foro che aveva aperto alla nascita e lasciava che la stella si spegnesse cadendo sulla Madre Umida Terra dove giaceva il cadavere del defunto! Tuttavia un bimbo che nasce non è forse un’anima già vissuta che ritorna in un corpo umano per vivere una nuova vita? Talvolta l’anima dell’uomo va a finire nel corpo di un animale, ma è sempre la stessa cosa! E’ probabile, anzi!, che le credenze slave avessero assimilato quelle dei Baltici Jatvjaghi e Prussiani che credevano che l’anima dovesse trasmigrare subito da chi stava per morire in un altro che stava per nascere, proprio per evitare trasmigrazioni sbagliate. A volte l’anima rimane nell’aria e si fa sentire e vedere quando gli garba; nei sogni, nelle voci della selva, negli animali e persino nelle piante e nei sassi! Tutta la natura è animata dai nostri antenati alla fin fine… Era questa forse la concezione originaria, mentre la morte vista come un lungo viaggio senza ritorno era più una concezione cristiana, di radici medio-orientali.
Come liberazione dai guai della vita, dopo morti finalmente si vagava liberi nel mondo dei trapassati che geograficamente nella visione dello Slavo orientale si doveva trovare in qualche luogo fra i monti (che il contadino russo o smierd immaginava, senza averne mai visti!) dove vivono gli dèi, al di là di un fiume di fuoco che sbarrava la strada agli esseri viventi ancora vivi. La morte allora era un avvenimento, sì!, misterioso e minaccioso, ma in fondo lieto e da festeggiare insieme.
Qual è allora nella mitologia slava il dio della Morte “regolare”? Marena, Mara etc. potrebbero essere le dèe che troncano la vita, ma anche Nonno Gelo o il famoso Karaciùn, popolarissimo nell’area slava meridionale (e balcanica in generale, compresa la Romania) trasformatosi poi nelle favole nell’Uomo Nero che porta via i bimbi fastidiosi!
Certe morti erano considerate normali ed altre invece condannavano il defunto a vagare nel mondo sotto forma di cadavere vivente. La filosofia era che, se avevi condotto una buona vita, dovevi aspettarti una buona morte e, siccome persone senza peccati non ne esistevano, ecco che la morte talvolta portava inutili sofferenze. Mai però che s’indulgesse al suicidio! I suicidi, avendo versato il proprio sangue sulla Madre Umida Terra, dovevano essere interrati sullo stesso luogo dove erano morti oppure obbligatoriamente lungo le strade affinché il viandante li condannasse ogni volta che passasse loro vicino. Anche chi fosse colpito da un fulmine non poteva essere sepolto insieme agli altri perché apparteneva agli dèi.
Si può scongiurare la morte? Nelle byline ciò è possibile attraverso l’ausilio di forze magiche, di piante o di animali che fanno resuscitare oppure rendono la vita lunghissima, ma bisogna trovare una ved’ma (strega o maga) o un koldun (stregone) di sicura fiducia. Un modo molto semplice, invece, per allungare (e chissà perpetuare) la vita è quello d’allontanarsi dalla famiglia, passare il fiume e scomparire nella selva! Ed era, infatti, quello che talvolta faceva un anziano il quale, sentendosi ormai inutile e con le forze che gli diminuivano, si salutava con tutti (Rito del Prosc’c’ianie) e spariva fra gli alberi… Questo rito (d’altronde antichissimo e diffuso in tutto il mondo) sarà “cristianizzato” nelle Terre Russe ed elevato ad atto santo proprio dal grande san Sergio di Radonezh, meglio di qualsiasi altro personaggio storico russo. Quest’uomo santo abbandona il mondo già da giovane, cambia di nome (si chiamava Bartolomeo) e scompare nella foresta (muore) per fondare (rinasce) il suo eremo diventato oggi la Sede del Patriarcato Ecumenico (Sergiev Posad) nell’area dell’odierno comune di Zagorsk!
Con tutta questa filosofia il vecchio quindi attendeva la morte con tranquillità. Rammentiamo ancora una volta che “vecchio” a quei tempi significava avere 50 anni, in media! Aggiungiamo anche che l’età era qualcosa di indefinibile perché nessuno contava esattamente gli anni vissuti. A che pro?
Tuttavia una volta defunto, i vivi non vogliono più che il parente ritorni perché sconvolgerebbe il nuovo ordine instauratosi con la sua scomparsa e la natura delle cose che prevede un deterioramento dei corpi e il loro definitivo sfacelo e perciò, se non ci fosse la morte, chissà quali conseguenze nefaste ci sarebbero per tutto il Creato!
Quando il Cristianesimo annunciò che Cristo era tornato dal mondo degli inferi e che nessuno sarebbe più morto, se avesse abbracciato la nuova fede, la gente ne fu orribilmente spaventata e bisognò spiegare bene che l’immortalità a cui ci si riferiva era quella dell’anima e non del corpo. Il corpo sarebbe tornato in vita soltanto al Giorno del Giudizio Finale!
Il cadavere dunque veniva lavato con acqua “tiepida”, vestito dei suoi vestiti migliori e avvolto in un lenzuolo e con una corona di fiori sul capo. Finalmente lo si esponeva al saluto di tutti per almeno tre giorni. Sul davanzale della finestra della casa era stata già messa una scodella con il pan secco abbrustolito (suhar’/ ) e qualche zakusok/ per il morto, nel caso fosse stato sorpreso dalla fame mentre lasciava questo mondo. A coloro che erano convenuti a salutare il morto prima di tutto si offriva da bere mjod (bevanda inebriante di miele) e birra, accompagnati dai kalacì dolci e, talvolta, anche con vino (chi poteva!). Secondo la Chiesa Russa al terzo giorno si diceva che ormai l’anima si è allontanata, il viso del morto muta di espressione e comincia la sua degenerazione corporea e quindi non è più “guardabile”. Al nono giorno la sua anima è ormai via dalla residenza terrena ed è accompagnata dagli angeli a guardare che cosa l’aspetta in Paradiso e all’Inferno per poi tornare davanti a Dio e a Cristo per essere giudicata. Finalmente al quarantesimo si pensa che il cuore ha anch’esso lasciato il corpo e quindi il cadavere è ormai da abbandonare alla terra per sempre e cioè può essere definitivamente seppellito (teniamo sempre presente le condizioni climatiche delle Terre Russe!). Con questi cerimoniali ritmati secondo quanto detto sopra si concludevano i cosiddetti pohorony/ .
Col Cristianesimo anche il costume di bruciare i cadaveri era già decaduto da un pezzo (e forse non era più così diffuso, come sembra, già nel XI sec.) e i defunti si sotterrarono interi in bare di legno.
Si indulge ancora nel vecchio costume, d’altronde noto già ai Romani e ai Greci, di chiamare delle “comari” a piangere il morto e a ricordarlo con dolore (pricitanija/ ). Sulla soglia della porta si pone una scodella con della farina oppure della kut’jà (la kut’jà è il cibo più solito per onorare i defunti!) già pronta e ben indurita e tutti i suoi oggetti più cari affinché il morto nell’Aldilà possa continuare le attività lasciate a metà e prepararsi da mangiare da solo. Quel che è strano da queste parti è che il prete (pop) era chiamato quando tutti questi riti funerari erano stati completati secondo l’antica tradizione e soltanto allora ci si rivolgeva alla Chiesa per eseguire il rito ortodosso dei panihidi. Chiusa poi la tomba, la camicia migliore del defunto rimaneva lì appesa su un bastone infisso nel suolo.
La Chiesa Cristiana riuscì a concentrare le rimembranze dei defunti fissandole in due date dell’anno: la cosiddetta settimana di san Tommaso (Fominà/ ) e il classico 2 novembre. La più popolare restò però un’altra rimembranza: la prima Ràdoniza subito dopo la Pasqua. Infatti sappiamo che si continuava a ricordare i morti molto più spesso e qui vorremmo sottolineare ancora qualche aspetto e, dando per scontato che in Bielorussia si siano conservati i rituali più antichi, ci riferiremo a quella regione per godere di particolari più insoliti.
Con tutta probabilità in occasione della Memoria dei Defunti si riproduceva tutta la cerimonia di quando il morto era stato interrato (salvo la composizione del cadavere che ormai dormiva nella tomba, naturalmente!) e, se aggiungiamo che ancora oggi i morti non sempre vengono inumati negli appositi cimiteri e che qualche famiglia continua ad avere un proprio recinto con i propri defunti magari non lontano dal posto dove i trapassati una volta vivevano, è veramente curioso osservare quanta gente si reca al cimitero portando tutto il necessario per una scampagnata vera e propria. La mattina si fa prima il giro delle tombe dei parenti, quelle più vecchie che si puliscono per bene. Dopo si sceglie quella del defunto più prossimo più comodamente utilizzabile sulla quale si apparecchia la tavola per tutta la famiglia! Il banchetto funebre, che potremmo chiamare ancora una volta col tradizionale nome di triznà, è una festa in cui si consumano però quasi sempre cibi secchi proprio come i morti di cui rimangono solo le ossa rinsecchite. Non solo! I piatti preparati devono essere sempre in numero di uno in più rispetto ai commensali vivi presenti! Fissati questi principi si possono vedere i biscotti (suhariki/ ), il pesce secco, il pan secco, frutta secca disidratata, uova colorate e, ma eccezionalmente, persino carne secca! Da bere viene portata la birra dell’estate e cioè quella rimasta dall’ultima preparazione. Prima di iniziare si invita il defunto, sulla tomba del quale si pranza, a prendere parte al convito e gli si mostra il piatto preparato per lui, ma gli si chiede anche di far venire gli altri parenti morti al banchetto. La formula rituale (tradotta dal bielorusso da ACM) è: “Santissimi antenati! Venite a mangiare con noi pane e sale (in altre parole: Siate i benvenuti)!” E si fanno tantissimi segni di croce sulla tomba!
In realtà la croce non è esclusivamente il simbolo della Cristianità, ma è anche un antico segno apotropaico e solare e qui nella Rus’ con esso si intendeva (in modo abbastanza opportunistico, dobbiamo dire!) limitare al morto la possibilità di uscire fuori dal confine del cimitero per tornare fra i vivi! Infatti, dopo questi segni il più anziano del gruppo si alzava in piedi e diceva chiaramente: “Carissimi miei antenati! Godetevela, ma non muovetevi mai più di qui perché più una casa è ricca e più è allegra!” In altre parole, se ritornando sulla terra aggiungete la vostra presenza alla divisione delle risorse, diventeremo tutti meno ricchi e saremo meno allegri. Durante il banchetto logicamente si ricordano episodi della vita del defunto, ma con allegria e talvolta anche mettendo in ridicolo alcune delle sue abitudini e dei suoi modi di fare…
Col Cristianesimo anche il pop locale fu invitato al festino e ad ubriacarsi con gli altri (visto che anche i parenti della moglie di quest’ultimo giacevano nel cimitero di famiglia di lei!) e questo comportamento non piacque alle autorità ecclesiastiche, tanto che, giudicato come malcostume, fu introdotta una rigida proibizione a partecipare a tali pratiche che duravano per una settimana e più con un pop perennemente ebbro!
Comunque anche le coppie appena sposate devono partecipare al festino. Prima però occorre salutare tutti i defunti della famiglia di lui e poi quelli della famiglia di lei (se si trovavano nello stesso cimitero) in ordine di importanza sociale chinandosi davanti ad ogni tomba fino a terra e dicendo: “Benediteci, affinché fra noi ci sia amore, accordo e figli grandi e forti per il Rod (la nostra gente) nostro!”
Mentre la luce diminuisce annunciando il calar del sole, in fretta i resti del cibo consumato, obbligatoriamente rimasti, sono lasciati in bella mostra sulla tomba insieme con un bicchiere, oggi pieno di vodka e una volta pieno di mjod, in un angolo mentre ci si allontana rapidamente prima che il sole scompaia del tutto…
Se in Bielorussia tutto questo si conclude al tramonto, nella zona dell’Alto Volga (Tver’ e vicinanze) la Ràdoniza consisteva in una festa notturna che iniziava a mezzanotte e finiva col canto del gallo della mattina dopo!
I pomìnki sono, infine, compiuti! La fede cristiana è stata più o meno rispettata e lo smierd ha chiuso definitivamente i suoi conti con questo mondo.
Cristo finalmente può accompagnarlo nel luogo dove la sua vita terrena lo ha destinato.

Glossario:

Baltici, Jatvjaghi, Prussiani – popoli di lingua indoeuropea vicini degli slavi oggi scomparsi nei Lituani e nei Lettoni
Byline – racconti popolari russi in cui si conservava il ricordo di avvenimenti passati veramente accaduti
Kalacì – panini molto piccoli addolciti con miele e fatti di farina di frumento
Karaciùn – corrisponde all’Uomo Nero delle favole dell’area slava meridionale
Koldùn – mago, incantatore
Kut’jà – polenta d’orzo
Mjod – liquore inebriante fatto dal miele
Panihidy – rito funerario ortodosso
Pohorony – funerale, sepoltura
Pominki – riti in memoria dei defunti
Radoniza – festa dei morti
Rok – periodo  di tempo vitale assegnato all’uomo
Rus’ – nome dato al primo stato sorto nelle terre Russe intorno alla seconda metà del IX sec. d.C.
Smierd – nome dato al contadino russo in modo dispregiativo, più o meno zoticone
Ved’ma – strega, fattucchiera
Zakusok – spuntino, assaggino molto popolare nella Russia

 

Aldo Marturano, VITA DI SMIERD, ATENA di Poggiardo (Italia), 2007


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