IL DOLORE NEL MEDIOEVO RUSSO

di ALDO C. MARTURANO
© 2008

Estratto:

Nella società contadina russa la semplice e primitiva osservazione di un corpo morto che si disfa sul terreno porta alla constatazione che il corpo umano è soggetto nella natura a due tipi di forze invisibili: Le forze maligne e quelle benigne. Queste forze, se non stessimo continuamente attenti, assalirebbero il nostro corpo che sarebbe alla loro mercé.La potenza di queste forze, di per sé d’origine divina, è enorme e dunque entrambe possono portare alla morte. Quelle maligne però portano la sofferenza e quindi sono da evitare più di quelle benigne. Come fare ad accorgersi che le forze maligne stanno per assalirci? Esse cercano di penetrarci sia attraverso gli orifizi naturali del corpo umano sia tentando di lacerare la nostra copertura naturale ossia la pelle. In questa azione di penetrazione noi sentiamo dolore che dunque non è un male in sé, ma soltanto un’avvisaglia dell’assalto in corso. Imparare quindi ad evitare il dolore e non a governarlo o ad abituarcisi, questo è lo scopo maggiore delle pratiche magico-religioso-mediche che ancora oggi sono in uso nelle campagne russe accanto alla sanità nazionale. Una riflessione va fatta sulle applicazioni dette scientifiche dalla medicina moderna: Sono le pratiche contro il dolore ancora più valide, rispetto a quelle del passato religioso-magico?

Discussione:

Con questa prolusione vi accompagnerò molto brevemente nel mondo del dolore, non di oggi, ma in quello di molti secoli fa e in una parte d’Europa abbastanza lontana da qui e da noi dimenticata e trascurata: Nel Grande Nord.
Io mi occupo da molti anni di Medioevo Russo e perciò mi è sembrato doveroso farvi conoscere a grandi tratti (si potrebbe scrivere un libro di centinaia di pagina sull’argomento) come nei secoli XI-XIV in quelle regioni abitate da Slavi, Balti e Finni era affrontato il dolore in un ambiente culturale molto diverso dal nostro. Attenzione però! L’attualità dell’argomento risponde anche al fatto che tale ambiente non è morto col passar del tempo ed oggi più che mai rivive in una nuova libertà. Le culture umane sono molto conservative e serbano gelosamente per secoli le proprie tradizioni, sebbene mascherate poi con una fittizia modernità. Ciò è importante poiché è il solo modo affinché una persona riesca a distinguersi dagli altri nel moderno conformismo. Ciascuno di noi è il prodotto di una storia culturale pregressa, un insieme di eventi e di ricordi di persone che ci portiamo dentro nelle nostre carni perché ci è stata trasmessa dai nostri genitori sotto forma di una serie di regole e atteggiamenti per affrontare il mondo e viverlo fino alla fine. Gli atteggiamenti appresi noi li passeremo ai nostri figli, magari un po’ modificati, magari migliorati. Ad un’analisi storica più attenta la tradizione è un bagaglio di riti più o meno complicati che ci mostrano come essi, quando furono messi in atto, avevano certi scopi e certe finalità. Certo, un’evoluzione c’è stata! I riti culturali sono più nascosti o più ostentati, a seconda delle circostanze, ma le mascherature sono talmente effimere, da scomparire molto rapidamente, quando occorre, ad esempio, in uno scoppio d’ira che abbiamo represso fino a quel momento seguendo il rito di non mostrarsi subito adirati. E il dolore? Anche il dolore è soggetto agli stessi riti culturali. Lo si denuncia solo se si è disperati e tutto secondo un cerimoniale che poco ha a che fare con la sindrome dolorosa che ci ha assalito. Nel tempo passato avveniva più o meno nello stesso modo di oggi e le differenze erano dovute per lo più alle credenze che circolavano nell’ambiente in cui si viveva.
La Russia di oggi, per queste cose, è uno dei più grandi serbatoi folcloristici e mitologici esistenti in Europa e chi studia queste persone e le loro abitudini derivate da secoli di storia, si accorge subito di quanti parallelismi e similitudini esistano fra loro e i loro antenati e, soprattutto, fra loro e noi, sebbene poi i russi ci sembrino provenire da un altro pianeta. I loro retaggi antichi sono insomma anche i nostri, fanno parte di una Mitologia d’Europa. Mi manterrò naturalmente in superficie all’argomento perché il tempo concessomi è poco, ma il mio traguardo è quello di suscitare la vostra curiosità per un futuro approfondimento.
Sottolineo subito che i limiti cronologici della mia discussione sono contenuti fra il X e il XIV sec. d.C. poiché prima di tale epoca per la storia russa non esistono documenti scritti affidabili. Inoltre, siccome il Cristianesimo ortodosso arriva proprio alla fine del X sec. e fatica a consolidarsi a causa della dimensione territoriale enorme della Terra Russa soggetta al primo stato russo di Kiev, posso dire che fino al XIV sec. siamo ancora in un ambiente molto pagano. Ciò non è molto diverso comunque da quello che esisteva nel resto d’Europa, se si pensa alla posizione del Papa Gregorio VII che dovette accettare già prima del X sec. la realtà pagana in cui suoi uomini di fede si muovevano e prescrivere di accettare riti e abitudini purché li si “rivestisse” di Cristianesimo!


Quella russa è una cultura prevalentemente contadina e penso che possiamo subito immaginare come in un nord, dove le stagioni sono più nettamente distinguibili che nel mondo mediterraneo, il contadino sia molto sensibile ai fenomeni naturali, alla luce del sole e della luna, alle temperature che regolano la sua giornata. In più special modo avverte la presenza di quei misteriosi cicli che si notano della vita e della morte. Questi cicli sono riconosciuti come parte del funzionamento del mondo, ad esempio come le piante che nascono dal seme crescono e muoiono, ma poi rinascono etc. ossia questo universo è concepito come un ritornare di eventi che si ripetono sempre uguali, salvo l’intervento capriccioso degli dèi creatori. La concezione infatti è questa: L’universo è una grande casa creata da un dio potente che vi abita, sebbene poi se ne disinteressi completamente lasciando che tutto giri secondo il meccanismo perfetto creato a suo tempo. Gli uomini? Suoi ospiti e servitori! In questa casa questo dio non è solo, ma insieme con altre forze divine che a seconda della loro natura e della loro disponibilità possono agire a favore o contro l’uomo. E l’uomo insomma, come un ospite in casa d’altri, deve chiedere il permesso per ogni sua mossa passando attraverso riti particolari. Il sacrificare qualcosa di proprio al padrone del luogo dove si agisce oppure conoscere certe formule o scongiuri per rabbonirlo, sono tutte nozioni necessarie per poter vivere bene. Ecco! Tutta questa costruzione mitologica si deduce dallo studio del folclore russo poiché, ahimé!, la mitologia religiosa russa non ha avuto il tempo di sedimentare e di organizzarsi come quella cristiana o classica greco-latina e si trova perciò sparsa nei miti che circolano da sempre nella campagna russa e che si esprimono nell’arte popolare, né più né meno come nella nostra, sebbene noi apparentemente l’aborriamo come superstizione o come abitudini di cui val meglio vergognarsi.
Come abbiamo detto, secoli fa queste tradizioni pagane furono sopraffatte dalla forza ideologica della mitologia cristiana che le travestì con le proprie credenze e relativi riti di venerazione mettendo al posto delle numerose forze divine slave i santi cristiani e le loro reliquie miracolose. Niente però andò interamente perduto e riti pagani tipici sopravvissero di fronte alla meravigliosità dei fenomeni naturali inaspettati come un eclisse o una tempesta, ma anche di fronte all’intervento del nuovo dio cristiano che ci dà un segno attraverso gli eventi che noi dobbiamo saper interpretare. Chi più dei russi ha tanta venerazione per le reliquie o per le fonti benedette da cui sgorga acqua miracolosa? Tutti questi oggetti sono impregnati di forza divino-magica e Dio ce li ha messi a disposizione per alleviare i nostri malanni. Aggiungiamo che lo slavo in generale e il russo in particolare abita in un ambiente fortemente forestato dove l’oscurità costante e il mistero dei fruscii e dei rumori, ma soprattutto le mortali insidie della palude e delle sabbie mobili, l’acqua che scorre diretta chissà dove dominano incontrastate ancora oggi nella taigà russa.
Un lungo studio della natura porta infatti il contadino a individuare le forze divine e a classificarle in base ai segni che esse danno della loro presenza sia spaziale sia temporale e della loro utilità o dannosità. Ci sono forze divine che appaiono in certi momenti dell’anno (vengono fuori dalla Terra Madre) e che scompaiono in altre, mentre ce ne sono altre che vivono permanentemente in certi luoghi come il Padrone della Palude o il Signore del Mare o la Padrona delle Acque etc. Anche in casa, in questo universo privato, ci sono forze divine che proteggono o puniscono gli abitanti, se compiono cose non gradite o considerate peccaminose. E la prima constatazione che il contadino fa è che il dolore è un segno e un avvertimento divino.
Esso si avverte per aver urtato malamente un oggetto, ad esempio. Tuttavia nella mente russa medievale la sensazione non deriva tanto dal fatto di non essere stati attenti quanto invece dal fatto che una forza divina a noi contraria ci ha posto l’oggetto di traverso affinché noi sappiamo che stiamo compiendo un atto irregolare, irriverente o semplicemente perché, dalla nostra reazione, si regolerà se assalirci oppure no. Il dolore è il primo segnale che, ad esempio, abbiamo sbagliato strada oppure che abbiamo compiuto qualche gesto inconsulto verso una forza divina oppure che si sta attraversando uno spazio solitamente interdetto agli uomini. Giusto quando si è da soli, e ciò in una società in cui domina il sistema della grande famiglia è cosa rarissima, le forze divine dette impure ci possono assalire meglio perché in quel momento siamo privi di ogni difesa. Va dunque individuata la causa e subito riparato l’errore ed ecco che l’equilibrio da noi disturbato ora ritorna a regnare.
In altre parole il Dio, ora cristiano, ci avverte della presenza di forze a noi superiori e da lui mandate nella natura chissà per quali disegni occulti e che quindi dobbiamo rispettare. Quanto volte sentiremo in russo dire: Grazie a Dio, il Signore ti ha avvertito e altre simili espressioni!
Nel Medioevo Russo inoltre non c’è posto per distinguere il dolore cosiddetto fisico da quello cosiddetto psichico o psicosomatico. Il dolore è assimilato semplicemente ad un malessere o a un disagio più o meno intenso e concentrato, ad esempio, in un certo luogo del nostro corpo oppure che si avverte anche in tutta la persona. In quest’ultimo caso lo si avverte soltanto se ci si trova in certi luoghi e in certe circostanze perché a volte la forza divina vaga invisibile nell’aria.
Finalmente ci sono certe circostanze ove occorre stare molto attenti poiché le forze impure hanno bisogno del nostro corpo per usarlo per proprio conto. Esse se ne servono per compiere azioni malvagie contro qualcuno in qualche posto e quindi stanno cercando di impadronirsi di noi per tali scopi. Dunque come un dolore esterno denuncia l’aver urtato o l’essersi fatti male con qualcosa di esterno al nostro corpo, così un dolore interno ci avverte che la forza impura è entrata dentro di noi. Si è introdotta nel nostro corpo attraverso uno dei suoi orifizi e, se non corriamo ai ripari ove sia possibile, rischiamo la morte o la dannazione. Attenzione dunque perché è facile che la nostra anima venga scacciata dal suo corpo e la forza impura ne prenda il suo posto. Questa è la circostanza più temibile poiché questo corpo non più nostro vagherà per la terra attaccando chiunque finché riesce a mantenersi efficiente succhiando energia e vita agli altri e finché la forza impura non decida di lasciarlo morire. Attenti dunque ai sonni troppo profondi o dopo una sbornia! Di qui nasce la concezione fortemente creduta ancor oggi del vampirismo, degli animali-uomini feroci e misteriosi che vagano nella foresta alla ricerca di una vittima.
Non ci sono dolori passeggeri o inutili perché le conseguenze di un dolore sono tante e talvolta terribili e occorre riconoscere che tante catastrofi personali danneggiano non solo noi, ma anche la famiglia che ci è intorno.
Chi può liberarci da questo impiccio? Chi può, una volta riconosciuta la forza impura penetrata in noi, scacciarla o contrastarla? E come? La società contadina aveva un membro speciale che poteva aiutare il sofferente: la znaharka o vied’ma! E’ una vecchia signora, ormai vedova che vive da sola da qualche parte nella foresta o ai limiti del villaggio la quale, avendo accumulato tantissima esperienza sull’uso delle piante, sicuramente ha il rimedio richiesto.
Intorno all’XI sec. intanto, presso il Monastero delle Grotte, viene fondato il primo ospedale dove uno dei monaci, chiamato in russo lecèz, cura i confratelli ammalati ed eventualmente, ma solo eccezionalmente, anche i feriti dei continui scontri militari che si verificano ad ogni stagione fra principi rivali. A poco a poco vi giungono ammalati da tutte le parti ed un certo monaco Antonio che ha studiato a Monte Athos diventerà famoso proprio operando qui a Kiev. Dopo di lui un altro, a nome Agapito (morto ca. 1095 d.C.) con un miscuglio di erbe medicinali da lui stesso raccolte addirittura riesce a guarire nientedimeno che il futuro Principe Anziano di Kiev, il famoso Vladimiro Monomaco!
Naturalmente la concezione di malattia e di guarigione o di morte fra il personale ecclesiastico è basata su una visione del corpo umano ben descritta dalle parole dell’Ecclesiastico (38,9 e 12,14) che più o meno corrisponde ai dettami del Santo Paterik della Chiesa Ortodossa Russa usato nella gestione dei malati e delle preghiere da fare per loro: “Figlio mio, non irritarti per la malattia, ma prega il Signore e ti guarirà!… Poi chiama pure il medico poiché lo ha creato (anche) il Signore e non lo allontanare, c’è bisogno anche di lui. Tempo verrà in cui la salute sarà nelle loro mani ed essi pregheranno il Signore che conceda loro il sollievo del malato e la cura per conservarlo in vita!” Si tenga presente che DOLORE e MALATTIA in russo hanno la stessa parola!
In un modo o nell’altro insomma sono sempre gli dèi (o l’unico dio) che decidono se far guarire o se far morire e quindi l’intervento o l’intermediazione del medico (o di chi sa esercitarne l’arte) è un atto sacro solo se quest’ultimo con le sue preghiere o con le sostanze divine fornite dagli dèi alle piante o ad altro materiale naturale riesce nell’intento. E chi è autorizzato a stabilire questo legame speciale con il dio cristiano? Il pop, il monaco, l’ecclesiastico! Dunque nessuno spazio per i laici o di altri credenti (di solito gli armeni o gli ebrei) né per le donne (la ved’ma o znaharka, che sono serve del Diavolo), se non previamente riconosciuti e autorizzati ad esercitare dalla Chiesa nazionale! E con ciò nei tempi passati si alimentò la grande lotta fra Cristianesimo e Paganesimo nelle Terre Russe. Ad esempio, benché si spargesse la voce delle eccellenti arti del lecèz del Monastero delle Grotte non risulta che Agapito usasse le sue arti con gli smierd (i contadini russi), mentre, al contrario dalle Cronache Russe sappiamo che spesso il Principe si fidava più delle cure delle znaharki che dei monaci-medici del Monastero delle Grotte di Kiev! Così dal “servizio sanitario cristiano” lo smierd ferito o contuso sarà escluso e respinto e ciò praticamente fino al XVII sec.!
E’ chiaro che nel mir (il villaggio russo) si continuò ad usare la sapienza delle donne e la loro arte medica e, non solo per guarire le ferite o un dolor di denti, ma soprattutto per ridare il benessere psichico all’amato membro della famiglia che lo aveva perso a causa del dolore fisico. Quando parliamo di arte medica ribadiamo che la znaharka aveva a disposizione pochissimi ed inefficaci (come li giudichiamo ora noi) farmaci e il disagio psichico prima che quello fisico (l’effetto placebo era dominante!) in primo luogo era affrontato intermediando fra le forze della natura (buone o cattive) e il corpo umano in disagio in svariati modi molto empirici, come ad esempio gli amuleti o le pietre antidolorifiche da strofinare… Nella Russia medievale però era la Canapa a dominare quale rimedio universale per qualsiasi dolore in decotto o in insalata. Questa pianta ricordata da Erodoto per l’uso che ne facevano i Neuri (probabili antenati Slavi del Dnepr) era non solo utile come pianta tessile, ma anche come analgesico ed è ancora comunissima nelle coltivazioni rurali russe per questo ultimo uso e coloro che coltivano la pianta maschio, ricavano persino buoni guadagni.
Nella misoginia innata della Chiesa Ortodossa una donna deve essere solo la serva di suo marito, far figli e dargli il piacere sessuale quando le è richiesto, curare il bestiame, mantenere in ordine la casa, allevare i bambini, tessere e, appunto!, far da mangiare. Altro non le è permesso (così recita il Domostròi, un galateo russo del XVI sec.). Una donna che sa non può esistere, se non come personificazione o succuba di forze diaboliche! A questo punto si disegnano ormai chiaramente due caratteristici personaggi femminili: La donna di casa buona, brava e poco misteriosa e la donna che sa (znaharka) molto misteriosa e potente, ma utile! Nella credenza popolare russa la seconda può essere assimilata alla “strega” ed è ancora di due tipi: Quella che ha ereditato il sapere dai suoi antenati (detta perciò rozhdjònnaja/рожденная) e colei che ha imparato (ucjònaja/ученая) da quelle “ereditarie”. La differenza sta nella qualità delle fatture rispettive: Quella ereditaria sa di più ed è molto più affidabile, benché libera di fare fatture maligne o benigne, mentre quella “che ha imparato” sa far solo fatture maligne.
Si dicevano molte cose sulle “streghe” nelle Terre Russe, ma per la stragrande maggioranza non erano negative. Quando poi, col Cristianesimo e la diffusione delle famiglie mononucleari, il numero delle vedove abbandonate e solitarie che rimanevano ad invecchiare in un’izbà isolata si accrebbe, molte byline (i miti popolari russi) raccontano come queste “nonne” (bàbusc’ki) diventassero loro malgrado delle streghe e come ammaliassero il viandante che veniva attirato in casa per aver con lui un incontro sessuale o per tagliarlgi via qualche pezzo del corpo utile per le loro magie. Un sicuro indizio della loro presenza era quando la notte di Kupala (la Notte di san Giovanni al 24 di giugno) queste vecchie venivano a “rubare” della brace per riaccendere il fuoco nella propria stufa… un peccato imperdonabile!
Si diffusero molte maldicenze su di loro con la complicità della Chiesa. Si diceva che le “streghe” di solito si circondassero di tanti inservienti sotto forma di animali spregevoli, quali rane, rospi o specialmente gatti randagi. Questi servi erano sapientemente addestrati e mandati in giro nella notte di Kupala per svuotare, le cantine dei vicini, succhiando loro il latte e la panna acida (smetana) che poi rigurgitavano per dar modo alla loro padrona di preparare il proprio pasto! Un segno dell’accostarsi di una ved’ma era l’improvviso scomparire del latte nella vacca, nella notte fatidica. Un altro segno era come queste donne sedevano a causa… della loro coda!
Come si va da una strega per chiedere aiuto o cure? E costei come fa una diagnosi? Ecco come: Osserva il colore della pelle delle guance, il movimento degli occhi (!), l’eventuale anoressia, i gonfiori sul corpo, la natura della tosse e soprattutto l’alito… Inoltre, grande importanza essa dà agli ultimi sogni del paziente perché in essi l’“invasore” di solito si fa riconoscere!
Le streghe (o la nonna di casa) sapevano che le malattie più fastidiose e dolorose che potevano colpire il corpo umano (ossia gli spiriti “femminili cattivi” che potevano penetrarlo) erano dodici altre streghe chiamate Febbri o Tremori (Lihodarki/Лиходарки oppure Trjasovizy/Трясовицы) e la loro residenza era la palude, i laghi, le radure oscure ossia, in altre parole, l’ambiente della foresta! Per ogni spirito “febbrile” c’era una pianta curativa apposita (karkoliste/карколисте)…
Prima di ogni intervento farmacologico però c’erano gli scongiuri coi quali si poteva tentare di ricacciare le donne scarmigliate (zhensc’c’iny prostovolosye/женщины простоволосые) ora nel corpo del paziente nella “loro” capanna tenebrosa fra gli alberi e lasciare libero il malato. Accenniamo al fatto che queste donne scarmigliate erano conosciute anche dagli Slavi meridionali col nome di vily…
Che poi l’uso delle pozioni, del decotto e della bevanda che la znaharka preparava potesse essere il più diverso e persino il più pericoloso, non ricadeva nelle sue responsabilità, ma nell’uso che la gente ne faceva a sua insaputa o non seguendo i riti prescritti! Rarissimamente avviene infatti nei racconti popolari che una donna del popolo, ben nota nel villaggio come znaharka, sia eliminata fisicamente per aver sbagliato una cura come il rogo in Occidente. Tutt’al più la si batterà in pubblico o la si esporrà al ludibrio di tutti costringendola a fuggire via per sempre per relegarsi in un’izbà piantata su una zampa di gallina nella foresta acquisendo la mala nomea di Baba jagà…

Lista dei nomi degli spiriti maligni femminili apportatrici di febbri
secondo F.S. Kapiza, 1999

Treseja Avvarjuscia Hrapuscia
Otpeja Puhleja Zhjolteja
Gladeja Aveja Nemeja
Gluheja Karkuscia Ciumà (la peste)

Una sola malattia molto dolorosa però era sicuramente provocata dalle fatture di streghe malefiche: La consunzione (in russo porcia⁄порча)! Male assolutamente inguaribile, salvo non si riuscisse ad eliminare la fattura “rimandandola” alla donna che l’aveva fatta! Non siamo riusciti a capire di che malattia si trattasse, ma essa doveva essere niente altro che il vaiolo assimilato alla peste (ciumà) di cui si avvertiva di non baciare mai in viso colui o colei che ne fosse colpito!
Una fattura maligna, immediata ed efficace, era invece il malocchio (in russo si dice sglaz/сглаз, ma si usano tantissime altre espressioni) contro il quale occorreva prendere sempre tantissime precauzioni. Ad esempio, il malocchio è pericoloso per i bimbi perché può condizionare tutta la loro vita. E allora? Diffidare di quelle persone che fanno loro complimenti e cercano di attirarli con dolci e giocattoli e munire i figli sempre di un pezzo di ferro consacrato da portare addosso. Tuttavia il bimbo ha una speciale sensibilità per l’aura che una strega o uno stregone emanano e, appena questi si avvicinano, istintivamente scoppia in un pianto improvviso e si rifugia dietro la gonna della madre accusando un dolore… forse non proprio fisico! Diffidare quindi di quelle donne sconosciute che guardano con insistenza i vostri arnesi di lavoro, l’izbà, gli alberi che avete piantato nel giardino. Diffidare di chi è zoppo o strabico, etc.
Come faranno le donne a scoprire nella foresta le piante più curiose che poi raccolgono per curare i vari malanni dei propri congiunti? Ormai lo sappiamo: adescano e convincono le forze impure della foresta con le loro arti deduttive e ne diventano le confidenti e le alleate!
Il più notevole vivente per stranezza, ma ottimo per la sua efficacia curativa, che le donne riuscivano a trovare è di certo il fungo detto ciagà/чага (Inonotus obliquus sp.). Non solo è il più longevo fungo che si conosca – si sviluppa e cresce per circa 15 anni – ma è anche il più grosso, visto che riesce a raggiungere il peso di 5 kg e più! E’ inutile però cercarlo nei nostri boschi giacché la ciagà cresce sulla corteccia della Betulla (se lo trovaste sul Tiglio e sull’Olmo, sappiate che questi individui sono giudicati inefficaci) formando degli strani ed enormi tumori orizzontali di color gialliccio-brunastro. Una volta che una donna ne abbia scoperto uno, deve tenere il segreto per sé poiché se lo propala, la ciagà sparisce o si disfa. La ciagà una specie di panacea per qualsiasi tipo di ferita o tumore esterno (trattamento omeopatico) doloranti e, siccome ne basta qualche grammo per farne una miscela efficace, per anni si può (e si deve) sfruttare sempre lo stesso fungo. E’ chiaro che col passar del tempo il fungo invecchia e diventa sempre più compatto e più duro, ma allora lo si può ancora usare per intagliarvi amuleti contro… gli spiriti delle febbri!
E che dire della polvere dei palchi di corna delle alci o degli escrementi delle capre o quelli del maiale, animali entrambi sacri? Questi ultimi prodotti, raccolti sui campi sempre dalle donne, seccati sulla stufa e ridotti in polvere erano considerati utilissimi farmaci antidolorifici…
Perché mai la donna ha un tale potere e una tale conoscenza rispetto alla cura del dolore? E qui c’è un’equazione abbastanza curiosa: La donna è la padrona del dolore! Essa infatti ha i dolori mestruali che riesce a superare senza danno, salvo la perdita della linfa di vita che è il sangue. Essa partorisce con dolore e anche in questo caso, sebbene qualche volta per non aver seguito le istruzioni della mammana possa anche morire, ne esce indenne e più vispa di prima.
Forse l’unico contributo veramente maschile a questa farmacopea medievale “russa” analgesica era il fegato fresco dei grandi pesci di fiume che serviva non solo come boccone prelibato, ma anche come medicamento per gli occhi infiammati dalla dolorosa congiuntivite.

Dai libri di medicina (lecebniki) medievali russi
(raccolti da V.V. Korpacev, 1989)

Il cervello del gallo può fermare la diarrea.
Strofinandosi il palato col cervello di porco aiuta a tenere i denti più sani.
Il polmone di porco soffritto e mangiato a digiuno impedisce di prendere la sbornia.
Nella testa del porco vicino alle orecchie vi sono degli ossicini che seccati e triturati aiutano nel mal caduco.
La membrana interna dello stomaco di gallina, seccata e macinata in polvere agisce da diuretico, migliora la digestione nello stomaco eliminandone i dolori e ferma la diarrea.

E non solo i medicamenti vegetali o animali si trovano nella foresta! Anche la famosa Acqua Acidula (kislaja vodà) che sgorgava da una sorgente probabilmente identificabile oggi nel villaggio di Izhiza/Ижица vicino al laghetto del Valdai (regione a sud di Novgorod-la-Grande), era in definitiva un “prodotto della foresta” e la si raccomandava esclusivamente a scopi terapeutici analgesici o per cuocere pozioni (chi riusciva a procurarsene!) magiche e si diceva che qualsiasi audace appena caduto in uno scontro poteva ritornare in vita bevendone. Aggiungiamo che le stesse proprietà furono attribuite successivamente ad un’acqua detta narzan (forse di Nazran’ nella regione di Vladikavkaz visto che gli Osseti dell’Anticaucaso attribuivano alle loro acque effetti miracolosi) sottolineando comunque che tutta la Pianura Russa è ricca di acque minerali acidule.
Tuttavia il rimedio principe per i dolori muscolari era una visita alla banja che d’altronde ogni famiglia contadina russa faceva almeno un paio di volta alla settimana. D’altronde non esiste izbà (casa rurale russa) che non abbia una banja propria per la famiglia dove lavarsi e dove rilassarsi, ma anche dove guarire dai più complicati malanni fisici e psichici. La banja russa naturalmente ha un nome derivato dal basso latino banea (lat. class. balnea) ossia i bagni in acqua calda e fredda che i romani prediligevano, anch’essi per la cura delle malattie più disparate, costruendosi le loro monumentali Thermae disseminate in tutta l’Europa e lungo le rive del Mediterraneo. Malgrado ciò la banja rimane una tipica “istituzione” russa e si distingue da qualsiasi altra. Nelle Cronache Russe è nominata per la prima volta quando si racconta dell’accoglienza dei messi dei vicini slavi Drevljani a Kiev da parte di Olga. Costei obbligò gli ambasciatori a lavarsi e poi, quando questi furono chiusi nudi nella banja di legno, dette l’ordine di bruciarli vivi. In una redazione leggendaria delle Cronache del XIV sec. si parla inoltre della meraviglia di sant’Andrea, inviato a cristianizzare il nord russo, che racconta come i popoli di questa regione si trattengano nella banja ad altissima temperatura e come poi si frustino con rami di betulla (veniki) fino a far diventare la pelle rossa quasi paonazza. Più interessante ed attinente è invece la menzione del 966 d.C. quando nello Statuto di san Vladimiro (Ustav) è indicata come “presidio igienico per i debilitati” (zavedenija nemogusc’c’ih/заведния немогущих) o l’accenno che ne fa il predicatore francescano di Ratisbona Bertoldo nel 1200 che tuona contro la licenziosità di questi “bagni di famiglia dell’Oriente”…
Come abbiamo detto, la banja è un tipico costituente della vita dello smierd e del mir e perciò merita una concisa descrizione sulle effettive possibilità curative dei trattamenti ivi eseguiti.
Esistono due tipi di banja: quella detta “nera” (po-cjornomu⁄по–черному) e quella “bianca” (po-belomu⁄по–белому). Quella nera è la più antica ed è chiamata così perché l’ambiente dove brucia il fuoco per produrre aria calda aveva solo un foro in alto per farne uscire il fumo e perciò le pareti a lungo andare si coprivano di fuliggine. Si procede così. Si accende il fuoco e si chiude l’unico foro di scappamento. Quando dopo qualche ora l’interno è ben caldo (ca. 140 °C), si apre il foro superiore e la bocca inferiore d’entrata e si lascia ventilare onde liberare dall’anidride carbonica ed altri gas pericolosi per breve tempo. Dopodiché si spruzza acqua sulle pareti ancora bollenti e si introducono i bagnanti nudi che vi rimarranno a lungo a loro piacimento (la temperatura non scende così velocemente e quindi il soggiorno può diventare abbastanza lungo: un’ora e più). E’ bene subito dire che tutta quest’operazione è molto laboriosa oltre che molto lunga. L’effetto terapeutico della banja “nera” è dovuto anche al fatto di essere di legno e di trattenere alcune aldeidi volatili nel soffitto e nelle pareti che vaporizzano o si sciolgono con l’acqua e, inalate dal paziente col vapore, agiscono con beneficio sulle vie respiratorie. Per curiosità del lettore, informiamo che nelle izbe siberiane la pec’ka era così grande (fa molto più freddo che nella Pianura Russa e quindi serve una stufa più grande) che talvolta era usata essa stessa come banja non potendone costruire di apposite mentre si era in frontiera nel XVI sec.
La banja che vediamo oggi è diventata più complicata con vestibolo etc., ma già più semplice nella gestione e nel XII sec. era già apparsa quella montata su pali (anche su un palo solo) fuori dell’izbà. Qui dentro c’era un forno (gornìza o meglio più popolarmente kamelenoc’ka) dove si arroventavano i sassi di fiume. Se l’aria era troppo secca, con un lungo mestolo si spruzzava acqua sui sassi roventi e il gioco era fatto! Aveva inoltre sedili lungo le pareti e persino a due altezze per godere di regimi di temperature diverse e col fornetto al quale abbiamo accennato poteva essere usata per ore e ore senza dover vedere la temperatura abbassarsi. Era stato previsto un tubo di sfogo per i gas di combustione e all’esterno si trovava una vasca (ossia un grande tino di legno) per le abluzioni con acqua fredda (ricavata, in caso di cura, dalla neve marzolina sciolta!) all’uscita.
Molti studi sugli effetti di questi bagni caldi “russi” ormai concorrono nel dire che alla temperatura dell’aria di 70 °C con una umidità costante di 10-30 % è possibile attraverso il sudore intervenire su molte malattie e sindromi dolorose con effetti soddisfacenti. La prima a ricavarne benefici effetti è la pelle e, col sudore, anche il metabolismo interno e il sistema di pulizia del sangue. Poi vengono le vie aeree inumidite e inturgidite e, con un massaggio apposito, tutto il sistema muscolare può essere ravvivato. Altri effetti profilattici sono ottenibili, se la banja viene usata con regolarità. Qui ci fermiamo, rimandando alla letteratura specifica, ripetendo che la banja rimaneva un luogo sacro e pericoloso allo stesso tempo, visto che il corpo si esponeva senza difese a qualsiasi spirito malefico!
Come recuperare i liquidi persi col sudore? La bevanda principe era il kvas.

Prepariamo il malto per fare il kvas
(da Mir Enciklopedii, Mahaon, 2004)

Il Malto (Solod/Cолод). Si prenda un contenitore di legno ben pulito e col fondo secco coperto da una teletta di lino. Si dispongano poi in modo omogeneo per quanto possibile circa 200 g. di semi di frumento o di altro cereale sul tessuto e si ricoprano con un’altra teletta. Si versi ora molto lentamente in modo da non sconvolgere gli strati, dell’acqua tiepida per inumidire e bagnare i semi. Se ne verserà un po’ e si aspetterà che il lino la faccia passare e ritorni ad essere quasi secco. Poi se ne verserà ancora, ma sempre attenti a non eccedere. Fatto ciò, si lascia il contenitore aperto e si attende un giorno e una notte. Il grano o il cereale germinerà e il seme sembrerà allungarsi. Si tirano fuori i semi e si asciugano con una teletta e, ben asciutti, si pestano o si macinano fino a diventare farina. Questo è il malto.
Di solito si usava l’orzo o la segala nel Medioevo e per questo bisognava prestare attenzione che fossero di un solo raccolto e non più vecchi di tre anni. I semi dovevano essere interi e non appiccicaticci.
Per aromatizzare il kvas si usavano varie erbe: Menta, Salvia, Iperico, Luppolo o altre bacche del bosco.

Znaharka, banja, pozioni, massaggi etc. ecco l’armamentario di cui il contadino dispone ancora oggi per lenire i dolori e per curare i malanni. E chiudiamo raccomandando al nostro lettore di leggersi il bellissimo racconto fiction di A. Pusc’kin, Ruslan e Ljudmila in cui un vecchio sciamano finnico (il mago Fin) fa rivivere l’eroe del racconto, Ruslan, proprio con l’acqua viva di una fonte magica per la gioia di Ljudmila oppure la storia (stavolta vera!) del principe (XV sec.) di Murom, Pjotr, che ammalatosi di una fastidiosa dermatite dolorosa trovò sollievo e rimedio presso Fevronija, figlia di un raccoglitore di mjod, nella vicina Rjazan’. Questa gli preparò un unguento a base di miele. Ritornato a Murom e finito l’unguento, la dermatite ritornò e Pjotr non trovò altro modo di curarsi, se non sposando la sua giovane znaharka!

Bibliografia scelta:

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M. Zabylin – Russkii Narod, Moskva 1992
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C. Goehrke – Russischer Alltag, Die Vormoderne, Zurigo 2003
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K.V. Cistov (red.) - Etnografija Vostoc’nyh Slavjan, Moskva 1987
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A.C. Marturano – Vita di Smierd, Poggiardo 2007
V. Propp – Morfologia della Fiaba e le radici Storiche dei racconti di Magia, Roma, 2006
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J. Arnautova – Kolduny i Svjatye, Bolezni v Srednevekov’e, Sankt P


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