Il barbiere di Siberia
Sibirskij Tsiryulnik - 2h 57'
Regia: Nikita Mikhalkov.
Con: Oleg Menshikov, Julia Ormond, Richard Harris, Aleksei Petrenko, Marina
Neyolova, Yevgeni Steblov, Vladimir Iljin, Daniel Olbrychski, Anna Mikhalkova,
Marat Basharov, Nikita Tatarenkov, Artyom Mikhalkov.
Sceneggiatura: Franco Di Giacomo, Pavel Lebeshev.
Produzione: Three T Productions / Caméra One / Le Studio Canal+ / France
2 Cinéma / Medusa / Barandov Biografia / Goskino.
Paese, Anno: 1998
Distribuzione: Intermedia Film Distribution / Medusa
Scritto da: Rustam Ibragimbekov, Nikita Mikhalkov.
Colonna sonora: Eduard Artemyev.
Scenografia: Vladimir Aronin, Vladimir Murzin.
Costumi: Natalya Ivanova, Sergei Struchyov.
Montaggio: Enzo Meniconi.
La trama: La giovane e misteriosa Jane Callahan deve aiutare un eccentrico
inventore americano in affari con le autorità locali. Grazie all'avvenenza
della ragazza, l'uomo spera di ingraziarsi i suoi futuri clienti russi.
Ma il destino e' in agguato, Jane si innamora, ricambiata, di un cadetto
dell'Accademia Militare. La scelta, tra amore e interessi personali, non
sara' priva di conseguenze.
Uno strugente dramma della passione dal regista premio Oscar Nikita Mikhalkov.
Indossa
il costume, il buon Nikita, e sale a cavallo di un cinema decisamente
spettacolare. Il primo film ad uscire dal flipper di Cannes, dove ha inaugurato
(è il caso di dirlo, visto il tema) le danze, veste i panni del kolossal.
Si ricorda, Mikhalkov che è possibile usare quella retorica che minava
alle radici Il sole ingannatore anche per altri scopi, pur continuando
a raccontare, in maniera eccentrica, la storia dell'amata Russia. Parte
Il Barbiere Di Siberia dall'arrivo a Mosca di un'americana, Jane, "assoldata"
da un inventore sui generis per convogliare i soldi dei potenti sulla
sua buffa macchina, il barbiere di cui nel titolo, una sorta di sega elettrica
a vapore destinata a disboscare le verdi regioni siberiane. Avvolta dalle
singolarità degli usi russi, Jane stringe un legame affettuoso con il
cadetto Andrei, circondato dall'aura letteraria di chiamarsi anche Tolstoi,
pur senza dirette parentele. Qui il film consuma le sue pagine migliori,
nella rappresentazione di fine ottocento, nell'intrecciarsi dei balli,
nel complesso di tradizioni che costituisce l'impenetrabile corridoio
per comprendere l'anima russa. Un corridoio che Jane attraversa al buio,
visto che il suo bagaglio di donna vissuta non serve per orientarsi in
questo mondo, pronto a fare della contraddizione il principio fondatore.
E Mikhalkov sa essere ironico come nei suoi istanti migliori, è compiacente
con lo spettatore citando Mozart, allestendo parate per lo zar, garantendo
belle inquadrature, piene di luce e neve. Comincia a tingersi di melodramma
la vicenda, perché ogni buon amore è contrastato in Russia, e non si può
amare forse senza fare del male a qualcuno.
Aleggia lo spirito del Dottor Zivago, non in qualità di riferimento cinematografico,
o di analogia storica, ma come volontà di allargare lo spettro della narrazione,
di fare del sentimento uno spettro di analisi della realtà. Narrazione
che, al contrario, imbizzarrita si mette a ribellarsi al suo demiurgo.
La seconda parte del Barbiere (fatale, per un film di tre ore) compie
ampie volute, lunghi giri che non giovano affatto alla linearità dell'illustrazione.
Vengono meno ironia e talora persino la sceneggiatura, rovinando l'armonia
dell'inizio. Come gravità dello spirito melodrammatico, Il Barbiere Di
Siberia ricorda da vicino L'Età Dell'Innocenza di Martin Scorsese, se
non altro per l'uso crudele del rifiuto che si fa nei due film. Senza
possederne, però, la secchezza, asciutta come i colletti indossati da
Daniel Day Lewis, e neppure l'origine letteraria.
Bisogna accreditare al buon Nikita un certo estro spettacolare, questa
volta al servizio del puro spettacolo e non di una vanagloria personale
marcatamente ideologica, e una mano salda, fino al momento in cui non
perde la presa. Il messaggio velatamente politico esiste, ed è il richiamo
alla Russia della tradizione, quella pre- rivoluzionaria di Alessandro
III che godeva di una certa prosperità e serenità. Non forse di democrazia,
o di unanimismo, visto anche l'attentato che il film riproduce nelle sequenze
iniziali. Ma è apprezzabile il tentativo di spiegare all'uditorio quale
sia il vero mistero di questo grande paese, così caotico e rissoso all'apparenza,
così silenzioso nel profondo. Che tutto vada a finire in Siberia, è altro
discorso. Julia Ormond, assolutamente non all'altezza della parte drammatica,
è mancante di verve per essere sul serio ritenuta anticonformista. Nella
migliore tradizione degli attori russi Oleg Menshikov, ricco di smorfie
ed intemperanze.
© 1999 reVision, Riccardo Ventrella
Gli altri film di Nikita Mikhalkov:
Alcuni giorni della vita di I.I.Oblomov
Anna
Barbiere di Siberia
Partitura incompiuta per pianola meccanica
Schiava d'amore
Sole ingannatore (premio Oscar)
Urga - Territorio d'amore
Occhi neri (protagonista Marcello Mastroiani)
Anna
Genere: Documentario
Soggetto: Nikita Mikhalkov
Sceneggiatura: Nikita Mikhalkov, Sergej Mirochnitchenko
Fotografia: Vadim Alissov, Vadim Ioussov, Elisbar Karavaev, Pavel Lebesev
Musiche: Eduard Artemyev
Montaggio: Leonora Praksina, Gin San-Un
Interpreti: Anna Michalkov, Nikita Mikhalkov
Produzione: Camera One (Francia), Studio Trite (Russia)
Distribuzione: Columbia
Origine: Francia
Anno: 1994
Durata: 100'
Trama:
Un documento-testimonianza filmato, dal 1980 al 1991, nel quale Nikita
Mikhalkov pone precise
domande alla sua bambina, Anna, di sei anni (una piccola "pioniera"
dell'epoca di Brezhnev) fino alla sua adolescenza inoltrata. Le domande
concernono desideri e speranze, gioie e paure alternate ad eventi collettivi,
vita quotidiana di leader politici (Chernenko, Andropov, Gorbaciov) e
la perestroika, fino al termine dell'URSS come sistema politico centralizzato,
al contrastato potere di Eltzin e alla rinascita della Comunita Russa.
Dell'immenso universo che si e allontanato da Dio vengono citati gli episodi
piu salienti, molte imprese, forze e risorse umane, aneliti occultati
e vitalita. Anna la bambina ne rispecchia nella sua intelligenza ed innocenza
tutto cio che la formazione collettiva le ha imposto finche, alle soglie
della giovinezza, identifica con piu cosciente immediatezza cio che, in
orizzonti piu ristretti, cuore e sentimenti le suggeriscono: la terra
a cui avverte di essere legata e vicina; la casa e gli affetti familiari;
la salute e la felicita per se e i propri cari in un mondo aperto e vivibile
nella pace e nella liberta.
Critica 1:
Per 12 anni dal 1979 al 1990 il regista russo (1945) di Schiava d'amore
filma a
intervalli regolari la propria figlia, ponendole ogni volta le stesse
domande sui suoi desideri e paure, raccontando in parallelo la propria
versione sulla storia del suo paese nel suo tormentato passaggio dall'epoca
di Breznev al postcomunismo. La parte privata di questo film casalingo
e interessante e offre almeno un momento di emozionante intensita (la
morte della madre di Nikita, nonna di Anna); formata da immagini di repertorio
gia viste e montate in modi o convenzionali o facili, la parte pubblica
e commentata da considerazioni in altalena tra buon senso e banalita.
Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Critica 2:
All'origine c'e un'idea; alla fine un colpo di fortuna che premia quest'idea.
Anna,
l'home movie con cui, anno dopo anno, Mikhalkov vuole raccontare la crescita
di sua figlia, dai sei ai diciassette anni, diventa il racconto dell'
agonia e della fine di un regime e del magma indistinto che ne prende
il posto. Il privato diventa pubblico con violenza inattesa. Un cambiamento
storico interferisce nel percorso di un'educazione e l'home movie si trasforma
in un sorprendente film politico sempre in bilico tra l'emozione privata
e l'irruzione della storia. Da seguire o per cento minuti senza un attimo
di noia. Ma anche da confutare su entrambi i pia-ni della narrazione.
L'home movie, anzi-tutto. Questa famiglia, profondamente russa, ma riciclata
nell'establishment sovietico, e un mondo a se ed e fiera di esserlo. Mikhalkov
si pretende incarnazione della tradizione piu nobile della Russia e crede
di poter giudicare il Paese dall'alto della sua cultura e del suo albero
genealo-gico. L'educazione di Anna, assieme a ful-minee verita, mescola
silenzi e reticenze.
Il regista denuncia la mancanza di Dio, la scomparsa del senso del peccato
e della colpa, ma non racconta l'educazione reli-giosa tra le pareti domestiche,
lasciando credere che non ci sia. Perche allora il rimpianto? Anna, con
l'eta scolare, dice che desidera “dare le risposte giuste”. Il regista
commenta di aver conosciuto anche lui, da bambino, la paura di sbagliare,
una paura “che si insinuava in quelli che vivevano nel nostro Paese”.
E vero, le risposte spontanee di Anna diventano, a contatto con la scuola,
ufficiali (e solo piu tardi ritorneremo spontanee e personali). Ma questa
stessa scoperta potrebbe essere fatta con qualunque bambino e ovunque,
forse solo sostituendo alla scuola, sovieti-ca e corruttrice, la coeva
tv, non meno cor-ruttrice, di fronte a questo circo televisivo made in
Japan o in Usa, le canzoni dei pionieri, che peraltro esaltavano una fra-
tellanza tra i popoli sovietici la cui alter-nativa si sarebbe rivelata
prossima al tri- balismo. Ed e facile imputare a Mikhalkov la colpa di
prevaricare Anna, riducendola a oggetto di un suo test, banale come quel-lo
proposto da un settimanale. Il ritratto del sistema e lineare durante
tutto il film: “C'e l'imperatore, le guardie, i volontari, i commercianti,
gli artisti, i cittadini. C'e tutto, tranne Dio. O meglio c'e una pletora
di piccole divinita viventi, ma la gente non ospita un autentico Dio dentro
se stessa”. Cambiano i capi, cade il regime, ma il giudizio di Mikhalkov
non cambia. “Piu l'impero cercava di apparire maestoso, piu ognuno di
noi coltivava la sua piccola patria”. Il montaggio alterna celebrazioni
ufficiali al suono dell'Internazionale e squarci di "vita reale".
Il regista commenta: “Era ben altra la vita che si viveva e i canti che
si intonavano”. La centralita della guerra in Afghanistan nell'accelerazione
della crisi del regime e opportunamente sottolineata, ma a danno di altre
cause, come l'offensiva della presidenza Reagan, taciuta forse dal regista
per non doversi misurare con il proprio nazionalismo. Alla tragedia di
Cernobyl sono dedicati pochi secondi; molti di piu a un gia dimenticato
terremoto in Armenia. Ma Mikhalkov accomuna i due fatti in un giudizio
solo: “La divina natura risponde con l'autodistruzione”. Questa visione
spiritualistica guida per mano il regista. Che sull'esperienza (laica)
della glasnost dice: “Si avveravano le profezie dell'Ecclesiaste: piu
la gente imparava meno gioia riusciva a trarne”.
Il futuro e proiettato in una dimensione infernale: esplode il Challenger,
un Mig precipita a Le Bourget, divampa il fondamentalismo iraniano, Gaultier
impone la sua moda delirante ai giovani. “II posto riservato a Dio resta
carente” commenta il regista, “e viene alla luce un esercito di stregoni,
pronti a riempire quel vuoto. Che plagiano spiriti vulnerabili che sprofondano
in un'incertezza ancora piu grande”. Mikhalkov dileggia il passato sovietico,
ma non crede nella perestroika, e di Eltsin dice solo che andava appoggiato
contro il golpisti del '91. Il suo cuore batte al passato remoto, un passato
di cui scopre le tracce nella pieta popolare, nei prati, nei campi di
grano, negli stagni, nelle anse dei fiumi.
Il regista nutre il suo film di un'ambizione tutta letteraria. Nel 1980
ha appena terminato di girare Oblomov e si propone di mettere a confronto
l'infanzia di sua figlia, cittadina dell'impero sovietico, e quella del
piccolo Iliusha Oblomov, cittadino dell'impero russo. L'esaltazione dell'impero
zarista e palese. “Fuggendo di casa”, dice Mikhalkov, “Iliusha non poteva
smarrirsi, perche le persone che incontrava sul suo cammino vivevano secondo
le leggi che erano state dei loro antenati, perche la vita della sua casa
e quella del suo paese erano parte della stessa storia. Anna, invece,
fuori di casa, trova un mondo di artifici e mistificazioni”. Anna e Iliusha:
qual e il punto di divergenza tra le due infanzie? “A separarle sono la
fede e l'assenza di Dio”. L'assenza di Dio, aggiunge il regista, ignorando
buona parte della cultura degli ultimi secoli, “significa aver perduto
il rispetto per la vita e per la morte”. Quando Anna, ormai diciassettenne,
lascia commossa la Russia (per andare a studiare in Svizzera!), il papa-regista
si chiede se Iliusha, alla stessa eta, si sarebbe messo a piangere lasciando
la patria. “Penso di si”, risponde, “perche l'assenza di Dio che separava
queste due Russie non e riuscita a distruggere il suo amore universale,
quest'amore che fa piangere e la cui forza e purezza sono note in tutto
il mondo come la misteriosa anima stressa”. Anna si iscrive a pieno titolo
nella filmografia di Mikhalkov, ma, nel suo autobiografismo e nella sua
impronta documentaria, ne rappresenta la versione estrema, di gran lunga
la peggiore. Le note dolenti, pseudocecoviane, il crepuscolarismo, la
nostalghia, che erano stati i tratti caratteristici della produzione migliore
del regista, si ritrovarono tutti in quest'ultimo film, ma senza essere
passati attraverso le maglie della drammaturgia e quelle della censura:
una doppia camicia di forza che costringeva il regista al confronto, suggerendogli
pieta e passione. Con esiti spesso eccellenti. In Anna Mikhalkov usa il
megafono invece della pianola. Firma un tradimento contro se stesso, prima
ancora che contro la storia.
Giorgio Rinaldi
Cineforum n. 354
5/1996
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