Siena

Chi conosca, anche pochissimo, il pittore Sano di Pietro, e abbia visto a Chantilly il suo S. Francesco e le tre vergini celesti scese a lui nel paesaggio verde grigiastro, in mezzo a colli ed alberi che non hanno nulla di sbalorditivo, questi non si aspettera' da Siena cascate o tempeste. Non ce ne sono. Ne' nell'arte ne' nella natura. Cio' salta immediatamente agli occhi non appena si lascia Firenze, e dalla stazione di Empoli si entra nella via trasversale che porta a Siena. Si sente subito che la principale via della cultura, come anche quella degli Appennini, e' rimasta in disparte. La via maestra si dirige verso Roma. Invece noi penetriamo in luoghi primitivi e benedetti, infantili.

Questo carattere strano, a modo suo affascinate, risalta ben presto: e' un idillio. Quanta frutta c'e' qui, com'e' limpida e benevola l'aria, tutta piena di questi campi e dell'ingenuo frumento! Qui ci sono orizzonti lontani, non ci sono montagne, i fiumicelli tranquilli trascorrono con l'acqua verdastra in mezzo ai pioppi. Che poderosi campi di grano! La valle dell'Elsa e' fertile, vi lavorano contadini semplici e simpatici; il cielo grigio pallido, incombe su tutto, e le piogge non sono rare. Ecco Certaldo, dove mori' Boccaccio, Poggibonsi, a venti chilometri di cavallo da S. Gimignano. Quanto si darebbe per attraversare in carrozza l'Italia! Ma pioviccica, e fermarsi a Poggibonsi non e' comodo. A S. Gimignano c'e' Benozzo Bozzoli, e che torri ci sono! In questo stesso paese, pacifico e fertile, si fa il Chianti. Qui e' la sua autentica patria. Cosi' si chiama anche la stazione - Castellina in Chianti….

A Siena si arriva in modo impercettibile; essa si trova sempre piu' in alto del treno, si accatasta con le grosse mura, con le sue torri; nel vedere il colore marrone scuro della pietra si ricorda la terre de Sienne, l'infanzia, i disegni ad acquerello.

Ma bisogna andare: gli autentici turisti imbottiti di sterline vanno in calessi separati ed hanno un aspetto assai grave: sono gli inglesi. Ma tu, russo, senza soldi, tu amico dell'Italia, amico del suo grande fascino, puoi andare anche a piedi con la valigetta per i vialetti di questa citta' - per fortuna i vialetti sono tali che non ti dispiace di spendere un po' di tempo. Dai sottosuoli ci guardano i calzolai con gli occhiali sul naso, i ragazzini spalancano la bocca a vederci; noi ci sentiamo confusi e un po' buffi e commossi in queste fessure di pietre grigie medievali con le salite quasi perpendicolari, dove non si passa a cavallo e allargando le braccia si possono toccare le case che sorgono ai due lati. All'improvviso, una veduta, dei campanelli variopinti, poi di nuovo tutto sbarrato; sopra di noi soltanto il cielo grigio. La citta' si perde in esso.

Come quasi sempre in un luogo straniero e lontano, nel primo momento nasce il pensiero: e se si rimanesse qui per sempre? Per un istante ti afferra un senso pauroso e dolce: diventare cittadino di questa citta' bruna, dimenticare la patria, la famiglia, vivere in mezzo agli artigiani, ai panettieri, ai monaci, nel caffe'. E' difficile credere che essi vivano qui sempre, che non andranno in nessun luogo; molti, in tutta la loro vita, non hanno lasciato mai la citta' e moriranno in questa Siena. Un momentaneo freddo nell'anima.

Per capitare all'Accademia bisogna scendere per uno stretto vicolo giu' per una scaletta.

Qui c'e' l'antichita' in tutta la sua immensita': c'e' un crocifisso del secolo XII. Ci fu un tempo, in cui Siena non era considerata piu debole di Firenze nell'arte, ed era considerata anche piu' antica; ad ogni modo, il progenitore della scuola di Siena, Duccio Buoninsegna, e' contemporaneo di Cimabue. In generale, per quanto riguarda il XIV secolo, non si poteva probabilmente dire che cosa fosse superiore. I fratelli Lorenzetti, Taddeo di Bartolo, Simone Martini, sono approssimativamente uguali, e in parte anche piu' interessanti dei "giotteschi" fiorentini - Gaddi, Capanna ed altri (ma non di Giotto stesso). Un certo tono intimo, proprio di Siena - lo spirito della modestia e della devozione, degli abbigliamenti e dei nimbi rosa pallido di S. Francesco d'Assisi, dell'idealismo placido, incorporeo, si e' espresso bene in queste forme. Come anche per Firenze, i giorni di Dante e di Giotto rimarranno per sempre l'adolescenza candida, nivea, irripetibile e meravigliosa; il popolo che si risvegliava prendeva, con le anime degli eletti, le sue primissime, le piu' mattutine sue note. I poeti scrivevano d'amore: come Dante, descrivevano visioni in cui l'Amore diceva le parole fatidiche…

E' difficile sapere che cosa intendessero e sentissero allora questi uomini, ma per noi quei tempi e quei poeti: Guinizelli, Cavalcanti, Cino da Pistoia, Dante da Maiano, nella pittura "giotteschi", sono circondati da quello stesso fascino che si legge nel ritratto di Dante dipinto da Giotto, nei visi dei santi di Santa Maria Novella (l'affresco dell'Orcagna), delle Vergini della Cappella Spagnola ecc.

Tutto questo era vicino ai senesi. Nell'Annunciazione di Ambrogio Lorenzetti, gli stessi gigli bianchi, l'oro e l'immagine sacra. C'era abbastanza possibilita' di contemplazione e di tranquillita', in quelle dure condizioni dell'arte, questo soddisfaceva. Ma i tempi mutarono - sopraggiunse il secolo XV. I fiorentini, rimanendo fedeli allo spirito della luce, dell'equilibrio interiore, lo manifestavano gia' in complicate forme realistiche. In Botticelli, lo stesso spirito intimo si sente con molta forza; in interi flussi - non nell'uniforme melodia degli anni precedenti. I senesi qui non seguirono. C'e' qualcosa di commovente, di bellissimo, forse, in questo solitario conservatorismo; tutti si occupano di disegno, di anatomia, di studio: noi chiudiamo - sembrano dire - il portone della nostra Siena e rimaniamo nel nostro altezzoso nido con l'antichita' - e non cederemo a nessun costo. Abbiamo il realismo. E' offensivo per i Santi e la Madonna, presentarci negli abbigliamenti della nobilta' fiorentina.

Tutto il giorno la pioggia cominciava e smetteva. Era una gioia errare nell'aria tiepida, per le vie strette. Tanta pietra e ad un tratto il verde: esso e' bellissimo in luogo simile.

Per dei vialetti storti, arrampicandosi sempre piu' su, abbiamo raggiunto la cattedrale, su una piazza assolutamente deserta. Questo e' il punto piu alto, il "nido" di Siena. Ai lati, edifici spopolati, color marrone: la cattedrale stessa e' screziata - nera con marmo bianco. Non si puo' dire che essa piaccia molto, ma c'e' qualcosa di strano: nel XIII secolo, pare, i senesi avevano deciso di costruire una cattedrale colossale, della quale la parte conservata sarebbe stata una sola ala. Cominciarono a costruire - non ci riuscirono. Ma sono rimaste sino ad oggi tutte queste masse: archi, colonne incastrate assurdamente nelle strade (o, per meglio dire, appiccicate alle casette che si sono annidate qui dopo l'insuccesso). Abbiamo girato sorpresi per questo labirinto, come se in un gigantesco alveare disertato, fossero cominciate nuove costruzioni: povere da suscitare pieta. Non c'e' nessuno! I tacchi risuonano sulla pietra secolare, piove, nebbia e nebbia.

Dovrei parlare dei meravigliosi lavori sul pavimento della cattedrale - mosaici in grafite, rappresentanti scene dell'Antico Testamento, dei libri sibillini ecc.; di Pinturicchio e della sua Vita di Eneo Silvio; dell'antico palazzo municipale con la lupa senese e i bellissimi affreschi di Lorenzetti; di Sano di Pietro ed altri. Tuttavia, nella memoria e' rimasta piu' impressa la citta' stessa, la profumata pioggia di aprile, il sentimento del vagabondo portato Dio sa di dove.

Zaicev Boris Konstantinovic, Italija,. Berlino-Mosca, 1923. In Ettore Lo Gatto, Russi in Italia. Roma, Editori Riuniti, 1971,p.253-255.


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