Frascati, Albano, Rocca di Papa, Tivoli


…Mezz'ora dopo eravamo gia' ad Albano. Ivanov ad un tratto si rianimo' e corse a noleggiare i cavalli per la gita a Frascati. Da vari chiassuoli ci furono portati tre malconci e mal sellati ronzini. Dopo una lunga discussione coi loro proprietari, durante la quale ebbi agio di constatare la ferrea cocciutaggine di Ivanov, ci accordammo finalmente sul prezzo, montammo sui nostri ronzini e partimmo in direzione di Frascati.

La strada saliva lungo la cosiddetta "galleria", in mezzo a file di maestose querce sempreverdi. Ciascuna di esse doveva avere vari secoli e gia' Claude Lorrain e Poussin avevano potuto ammirare le loro classiche linee, nelle quali il vigore e la bellezza si fondono come in un nessun altro albero a me noto. Queste querce, e i pini ombrelliformi e gli olivi si accordano meravigliosamente l'un l'altro e formano parte di quel particolare accordo armonico che domina nella natura dei dintorni di Roma. In basso, azzurreggiava e leggermente fumava il tondo lago di Albano, e tutto intorno, per le pendici dei monti e delle valli, e vicino e lontano, si diffondevano, come un velo magicamente trasparente, colori divini… ma io mi son proposto di non abbandonarmi alle descrizioni. Salendo sempre piu' in alto, attraversando boschi ospitali e luminosi - si', proprio luminosi, su di un'erba smeraldina, quasi estiva - giungemmo alla fine di una minuscola cittadina chiamata Rocca di Papa, appollaiata, come un nido di uccelli, in cima ad una roccia.

Scendemmo da cavallo in una piccola piazzetta di fronte ad una chiesa costruita secondo lo stile lombardo, con piccole volute sulla facciata, e sedemmo per un minuto presso una fontana dall'acqua argentina, con lo stemma papale e un'iscrizione latina sopra una colonna spezzata. Dalla piazzetta si dipartivano in tutte le direzioni anguste viuzze, tortuose e ripide, come scale. Ragazzetti laceri accorsero subito a guardare per avere il solito contributo di pochi "paoli"; qua e la' spiavano teste femminili, per la maggior parte di vecchiette, e risuonavano suoni di voci chiare ma gutturali; lontano, come una visione, apparve in uno stretto passaggio una slanciata bellissima ragazza in costume di Albano, e dopo aver sostato pittorescamente nell'ombra quasi nera che cadeva dalle mura di pietra, si volto' pian piano e disparve. Un asino carico ci passo' accanto, con le ceste scricchiolanti sulla schiena, avanzando con cautela, battendo gli zoccoli sulle grosse pietre del selciato; lo seguiva, con passo grave quasi fosse un console romano, un uomo cupo, ravvolto in un sudicio mantello azzurro, che gli nascondeva la parte inferiore del viso, con un lato cappello bucato, che probabilmente non si toglieva davanti a nessuno.

Ivanov cavo' fuori dalla tasca una fetta di pane, si chino' sull'orlo della fontana e comincio' a mangiare, tenendo per le redini con una mano il cavallo e immergendo di quando in quando il pane nell'acqua fredda. Ogni traccia di inquietudine era scomparsa dal suo volto, che brillava al piacere di serene sensazioni artistiche; in questo momento non gli mancava nulla al mondo; e mi parve egli stesso un soggetto degno di un quadro, in quella piazzetta della prediletta cittadina dei pittori, davanti a quella oscura chiesa, dietro la quale le montagne di un colore azzurro violetto si elevavano lentamente sullo sfondo d'aria luminosa. Povero Ivanov! Avresti potuto vivere li' anni ed anni…E la morte gia' ti spiava!

Montammo di nuovo in sella e procedemmo innanzi, seguendo le montagne. Ivanov si mise a parlare; ci racconto' vari aneddoti romani comici, ridendo egli stesso di un riso infantile. Ci imbattemmo in un bel giovane sui 22 anni, che aveva le mani legate dietro la schiena ed era scortato da due gendarmi a cavallo.

- Che ha fatto? - chiese ad uno di questi Ivanov.
- Ha dato una coltellata - rispose pacatamente il gendarme.
Gettai uno sguardo al giovanotto; egli sorrise mostrando i suoi grossi denti bianchi e mi fece un amichevole cenno col capo. Una contadinotta che si trovava li, presso un orticello, dove era entrata con la sua capretta, sorrise anch'ella, mostrandoci dei denti ugualmente luccicanti; guardo' prima quel giovane, poi noi, poi sorrise di nuovo.
- Un popolo felice! - esclamo' Ivanov.
Arrivammo a Frascati abbastanza tardi. L'ultimo treno partiva tre quarti d'ora dopo; avemmo appena il tempo di visitare rapidamente una villa con un bellissimo giardino; ne ho dimenticato il nome.

Pochi giorni prima della gita ad Albano eravamo stati con Ivanov a Tivoli, alla Villa d'Este, senza saziarci di ammirare quella che e' forse una delle piu' belle fra le grandiose, magnifiche ville monumentali, non di quelle che ispirarono a Tjutcev la sua deliziosa poesia, ma di quelle, la cui vista richiama alla nostra fantasia cardinali e principi dei tempi dei Medici e dei Farnese, e fa risorgere nella memoria il poema dell'Ariosto, il Decamerone e i quadri di Paolo Veronese coi loro velluti, le loro sete e i loro splendori, e le collane di perle al collo di bianche bellezze, che porgono direttamente orecchio al suono delle tiorbe e dei flauti, coi loro pavoni e nani, e le loro statue di marmo e le dee dell'Olimpo su sfondi dorati e di grotte, satiri dai piedi di capra e fontane.

A Frascati percorremmo in fretta in fretta tutta la villa e la contemplammo dal basso, scendendo giu' giu' per la cascata di terrazze del suo artificioso giardino. Ricordo quale impressione, eccezionalmente forte, ci fece lo spettacolo del tramonto. Come una vampa quasi insostenibile, come un torrente ardente d'oro sanguigno, si riverso' nell'enorme quadrato della finestra di marmo al termine di un alto corridoio trasversale con colonne leggere, che sembravano volare verso l'alto.

Turgenev Ivan Sergeevic, Polnoe sobranie socinenij i pisem. Izdatel'stvo Akademii Nauk, Mosca-Leningardo, 1967. In: Ettore Lo Gatto: Russi in Italia. Roma, Editori Riuniti, 1971, p.161-163.


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