L’anno scorso non ho comprato il libro di Riccardo Muti «Verdi, l’italiano» e non e’ stato facile trovarlo nelle librerie quest’anno.
Nel mese di dicembre 2013 a Roma abbiamo assistito all’Ernani. Per la prima volta abbiamo ascoltato dal vivo Riccardo Muti. Ci ha fatto un’impressione! Dopo lo spettacolo ero certa di dover comprare il suo libro.
Ora e’ quasi tutto sottolineato da me con il lapis: tante frasi e molti pensieri di Muti sono da citare e rileggere. Secondo me, tutti i registi moderni che lavorano all’opera dovrebbero leggere «Verdi, l’italiano», soprattutto quelli che «scrivono» le loro opere usando le musiche del grande italiano.
Consiglierei la lettura di questo libro anche a tutti i cantanti lirici, tutti i musicisti e tutti gli appassionati d’opera.
Muti dimostra la sua profondissima conoscenza delle musiche del grande maestro e certamente parla molto dei suoi rapporti con i capolavori di Verdi.
Mi permetto di condividere con voi qualche brano interessante di questa opera.
«Verdi non scriveva per far brillare il tenore o il soprano: scriveva unicamente perche’ voleva esprimere attraverso le loro voci i suoi sentimenti»(p. 45).
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«Bisogna ammettere tuttavia che Verdi e’ molto esigente: richiede all’esecutore un virtuosismo non solamente di velocita’ delle note, ma anche’ nel suono, nel fraseggio, aggiungendo anche indicazioni di sonorita’ vocale… (p. 49)
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«Il direttore non deve seguire il cantante: deve far musica con il cantante» (p. 52).
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«E sempre Richter, per accettare di essere diretto da me, allora giovane vincitore del Concorso Cantelli, mi convoco’ a Siena all’Accademia Chigiana e qui, a sorpresa, mi sottopose a un durissimo esame di pianoforte: dava per scontato che lo sapessi suonare. Quando vedo dei giovani, brillanti direttori d’orchestra che non mettono neanche un dito sulla tastiera, mi domando che cosa farebbero se si trovassero in una simile situazione…» (p. 58)
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«Tutte le parole dei libretti di Verdi sono a mio parere estremamente efficaci» (p. 94).
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«Mi ricordo un regista famoso che non aveva capito assolutamente nulla. Traviata, secondo atto: papa’ Germont va da Violetta e si presenta; tradotto in maniera un po’ napoletana, le vuole dire: ‘Tu sei una poco di buono e ti devi togliere di mezzo perche’ se no mi inguai la situazione famigliare’ Verdi annucia il suo arrivo con una musica che ci fa subito capire che entra un tronfione, uno pesante, non una persona piacevole; poi si indica anche il passo che deve avere, Papa’ Germont dovrebbe entrare su questa musica e subito dopo rivolgersi a Violetta: ‘Madamigella Valery?’. Questo regista, mentre l’orchestra suonava, non faceva entrare nessuno. Poi, quando finiva questa introduzione, papa’ Germont irrompeva a velocita’ supersonic e, arrabbiatissimo, diceva: ‘Madamigella Valery?’. Questo non significa interpretazione, significa aver tradito cio’ che Verdi voleva. E’ tradimento. Non e’ questione di moderno o di antico: e’ incapacita’ di cogliere nella musica quelle indicazioni che poi ti possono permettere di fare una regia che non sia la dissacrazione del testo musicale» (p.100 ).